Società - Pedagogia Clinica a Mantova

Vai ai contenuti

Società

Utility

GIOVANI D'OGGI FIGLI DI UNA SOCIETÀ  ASSENTE - Il comportamento degli adulti come referente dis-educativo per il mondo giovanile
Convegn: Febbraio sabato 7 Luogo
Aula magna scuole elementari Ostiglia (MN)


Apertura lavori:
Valerio Primavori: sindaco come di Ostiglia (MN)
Ilaria Reggiani: Assessore alla Cultura e Pubblica Educazione comune di Ostiglia (MN)

Relatori:
Dott. Thamianos Fanos:  “Dirigente di Struttura Semplice SPDC ospedale di Pieve di Coriano”
o Titolo intervento: La rete … libertà in gabbia?
Dott.sa Paola Accorsi: “Responsabile FFSC Pediatria ospedale di Pieve Do Coriano
o Titolo intervento: Cibo … Relazione … Educazione
Dott.sa Emanuela Ori: “Dirigente Commissariato Pubblica Sicurezza Carpi”
o Titolo intervento: Devianza minorile”
Dott. Maurizio Saravalli: “Pedagogista Clinico, Reflector®”
o Moderatore e chiusura lavori





Trascrizione evento
Introduzione:
Moderatore Dott. Maurizio Saravalli Pedagogista Clinico - Reflector®

Il convegno nasce da uno stimolo emotivo. Non dall'idea di un Professionista dei sistemi educativi con la volontà di creare eventi di grande impatto mediatico e sociale, ma dall'ansia di un padre, ... preoccupato per il futuro del proprio figlio
Un padre che ha voluto creare  un evento in grado di generare, nella mente dei partecipanti, potenziali spunti di riflessione.
Come uomo che ha da poco passato il mezzo secolo sono consapevole di vivere a cavallo di due culture estremamente diverse, quasi agli antipodi, l'universo pre-digitale e quello dei nostri figli, quello dei cosiddetti "nativi digitali".
Trent'anni fa non esisteva internet oggi, se non tutti, una grandissima moltitudine di persone hanno a disposizione uno strumento che gli permette, in tempo reale, di avere a disposizione informazioni provenienti da qualunque parte del mondo.
La nostra è una società dove la comunicazione viaggia molto più velocemente del come i nostri ragazzi e forse anche noi adulti, riescono e riusciamo a digerirla.
Il problema maggiore è che la generazione di genitori della mia epoca e di quella subito successiva, ha rifiutato questi strumenti e, di conseguenza, questo sistema. Corollario a questo rifiuto è che il genitore di oggi non sa come rapportarsi, non comprende come seguire e aiutare i ragazzi di oggi.
I genitori non "digitalizzati" non sanno come insegnare a scegliere e gestire questa mole impressionante di informazioni. Input informativi che viaggiano molto più velocemente di quanto i nostri ragazzi siano in grado di elaborarle, comprenderle e collocarle.
Come padre sono consapevole che la nostra è una società estremamente veloce.
Una società che va cavalcata.
La forbice sarà sempre più grande tra chi riuscirà a capirla e cavalcarla e chi ..... e chi viene tagliato fuori.

Per il nostro piccolo territorio l'anno 2014 e iniziato male ed è finito ... molto male, con due eventi tragici che da genitore mi hanno notevolmente angosciato.
Il 2014 è iniziato con una bambina di 13 anni ... che, nella sua fragilità aveva deciso che questo mondo non era gestibile per lei, per le sue misere forze ... non era in grado di reggere le richieste di questa nostra complessa società, ... nessuno le ha allungato una mano, il mondo degli adulti, quel mondo che aveva il compito di proteggerla, quel  mondo che io in questo momento rappresento, non si è accorto di questo profondo disagio delle sue mute richieste d'aiuto.
Lei ci ha lasciato.
L'anno 2014 è terminato con tre ragazzi che evidenziando un profondo disagio sociale ed una personale incapacità di gestire la loro aggressività interiore ed i loro problemi col mondo che li ospita, hanno deciso di operare il suicidio sociale di loro stessi e dei loro cari, uccidendo una persona con la quale vivevano un rapporto di importante conflittualità.
Una persona uccisa in un modo che evidenziava la grande quantità di rabbia repressa .... uccisa a colpi di mazza da baseball.
Abbiamo un problema ...
Abbiamo un problema ma ... non dobbiamo puntare l'indice accusatorio sui nostri ragazzi.
Dobbiamo prendere coscienza del fatto che siamo noi adulti i loro referenti, le loro guide, quelli da imitare.
Tutti coloro che hanno, anche indirettamente, un rapporto educativo con i giovani hanno una parte di responsabilità in tutti gli eventi che li riguardano. Genitori, insegnanti, tecnici sportivi, volontari degli oratori, dei gruppi scout, ecc., tutti adulti e tutti con l'obbligo morale di porsi sempre due domande:
 Cosa faccio?
 Perché

Dott.sa Emanuela Ori
“Dirigente Commissariato Pubblica Sicurezza Carpi”
Intervento: Devianza minorile”
In Italia abbiamo un problema di fondo ...
Il problema è che tutto diventa un problema di polizia ...
I ragazzi bevono, si drogano, bivaccano, devastano, la risposta comune è sempre "serve più controllo repressivo delle forze dell'ordine".
Ma.... se "tuo" figlio esce a sedici anni e non riesci a farlo rientrare entro un'ora accettabile è un problema di forze dell'ordine?" ...
O un problema educativo famigliare?
Io sono qui per descrivervi cosa succede nei nostri uffici.
Come tutori dell'ordine i minori li vediamo sotto due aspetti:
1. Minore vittima di reato
2. Minore autore di reato

1) Minore vittima di reato
Analizziamo quando il minore è vittima del reato.
In questa situazione possiamo avere nuovamente due situazioni:
• Vittima di soprusi da parte di adulti; si hanno in questo caso situazioni di istigazione a delinquere, sfruttamento, maltrattamento, abusi fisici e/o sessuali.
In queste situazioni il ragazzo difficilmente parla con un adulto è più facile che si confidi con i coetanei, solitamente non con i famigliari.
Spesso sento dire da parte di genitori che più che padre o madre sono amici dei loro figli oltre a dissentire mi sorge qualche altro dubbio, ... "tu dichiari di essere amico di tuo figlio/a ma lui non conferma la cosa in quanto non ti ha accennato dell'evento o della situazione che stava vivendo".
• Vittima di soprusi da parte di altri giovani; con percosse, lesioni, rapine ovvero il cosiddetto Bullismo. Le reazioni del ragazzo in queste situazioni possono essere nuovamente di due tipi
 Parlare con qualcuno, ma spesso risulta per lui difficile.
 Entrare in uno stato di soggezione e accettare passivamente e in modo rassegnato questa situazione, in questo caso, quando qualche soggetto esterno interviene (forze dell'ordine, assistenza sociale, ecc), il ragazzo mostra sollievo.

Per quanto concerne l'adulto possiamo osservare due tipologie di comportamento:
• Adulto connivente come nel caso di adulti che lucrano sul corpo dei figli (i recenti casi di istigazione alla prostituzione della zona Parioli di Roma ne sono un illuminante esempio). Si tenga presente che  queste cose non succedono solo nelle zone degradate ma anche in zone apparentemente tranquille e benestanti.
• Adulto inconsapevole. In questo caso spesso il genitore si approccia alla situazione passando da una iniziale negazione a qui segue incredulità per poi arrivare  ad una graduale e progressiva consapevolezza di non essersi accorto della cosa, di non aver visto , o voluto vedere i segni tipici del disagio del ragazzo. Segni che evidenziano una  chiusura emotiva: il ragazzo parla meno, mangia meno, caduta delle prestazioni scolastiche o interesse nelle abituali attività ludiche o para scolastiche eventualmente fatte.

2) Minore che commette un reato
La criminalità minorile oggi si presenta molto più complessa rispetto ad alcuni decenni fa. Mentre prima la situazione sembrava più chiara e definita, quasi categorizzabile, ovvero criminalità minorile uguale a degrado sociale, degrado urbano, povertà, disagio famigliare, ecc., oggi la situazione si presenta molto più variegata e trasversale.
Possiamo avere situazioni di soggetti provenienti da ambienti degradati e/o disagiati che commettono una percentuale maggiore di alcune tipologie di reati come, furti e spaccio di stupefacenti, attività che risultano necessarie a raccogliere i fondi utili al proprio sostentamento al contempo, da ragazzi provenienti dalle cosiddette famiglie bene, possiamo avere reati come atti vandalici o anche qui furti e rapine e reati per aggressività.
Si premette che con il dpf 448 del 1988  il ragazzo che commette reato ha un diverso trattamento rispetto agli adulti, il ragazzo ha una via preferenziale per un sistema correttivo e rieducativo. I reati per i quali comunque è previsto l'arresto sono quelli che hanno pene non inferiori ai 9 anni come l'omicidio.
Per quanto possibile, si cerca di tutelare sempre e comunque il ragazzo ed in ogni caso l'arresto è considerato l'ultima ratioo.  Quando possibile si opta per soluzioni alternative come l'affido ai genitori con obbligo di permanenza in casa, se l'ambiente famigliare non è favorevole ad una rieducazione del ragazzo lo si affida a comunità strutturate.
In fase di arresto si nota già se il ragazzo è alla sua prima esperienza, generalmente in questo caso, il ragazzo non esperto ed emotivamente fragile crolla e non raramente scoppia in lacrime, questo è un bene in quanto il ragazzo permette un contatto emotivo, e risulta spesso disponibile a rimettere in discussione quanto fatto; nel caso in cui il ragazzo si mostra spavaldo, sicuro di se, con già alle spalle una carriera delinquenziale già ben avvita risulta più difficile entrare in empatia e, conseguentemente, far si che esso comprenda che la strada da lui scelta non è quella giusta.
In entrambi i casi il problema si pone quando arrivano i genitori, per meglio rendere l'idea proseguirò portandovi quattro casi reali presi come esempio appartenenti ad un periodo che va dal 2009 ad oggi:

1) incendio in una scuola, giovani vandali appiccano il fuoco ad un'aula, l'incendio si propaga rapidamente all'aula computer che viene stata completamente distrutta, responsabili una banda formata da quattro ragazzi che, con tanto di cappuccio in testa, hanno tentato di rendersi irriconoscibili. Una volta identificati sono stati chiamati in questura i genitori. Due di questi hanno avuto un'immediata, normale, reazione di rabbia nei confronti dell'atto vandalico commesso dal figlio, un terzo genitore rimase attonito e in assoluto silenzio, forse il pensare di avere un figlio di un certo tipo e poi scoprirne un'altro è stata un qualcosa di troppo forte da elaborare al momento. L'ultimo, dopo aver visionato le immagini del grave atto vandalico,  esordì con un laconico "Dai su ... quant'è", come se il grave gesto commesso dal figlio fosse semplicemente quantificabile con un corrispettivo monetario, questo davanti al ragazzo. I ragazzi erano tutti appartenenti a classi sociali benestanti, l'ultimo genitore era un agiato libero professionista.

2) fumogeno nello stadio, un ragazzo accende, durante una partita un fumogeno, l'accensione dell'ordigno provoca, forse a causa di un difetto di fabbricazione un'mprovvisa fiammata, per lo spavento il ragazzo lancia l'ordigno in campo, cosa assolutamente vietata. L'azione viene registrata dalle telecamere di sorveglianza e, nel giro di poco tempo, questi viene convocato in questura con il padre. Il padre dopo aver sentito il racconto molla immediatamente un ceffone al figlio  cui segue la dichiarazione della successiva punizione ovvero "da ora non esci più di casa". Quanto ora detto sembra ai nostri giorni poco pedagogicamente corretto ma, dobbiamo pensare che il padre si è immediatamente reso conto della gravità delle conseguenze di quel gesto stupido e infantile, il ragazzo è stato infatti denunciato e, conseguentemente al suo gesto,la sua fedina penale da quel momento presenterà una macchia, che porterà serie conseguenze su eventuali scelte di vita future.
Il ragazzo infatti si era iscritto al liceo per poter fare poi carriera nelle forze dell'ordine, via professionale che, a causa di quello stupido geto, gli sarà preclusa.
Si tenga altresì presente che, a causa di quell'azione, sul ragazzo fu emesso un "DASPO" ovvero un ordinanza che lo avrebbe costretto per un certo periodo, anche anni, a rimanere fuori dagli ambienti ove si svolgono eventi sportivi di qualsiasi genere, a causa di questo era a lui impedito anche di partecipare agli eventi sportivi della sorella atleta.

3) area anarchica primo caso, viene chiamato un genitore per segnalare che il proprio figlio, al primo anno di università, frequenta da tempo ambienti anarco insurrezionalisti, per avvertirlo di potenziali situazioni socialmente pericolose al quale potrebbe incorrere. Il genitore non evidenzia alcun turbamento dichiarando altresì che in famiglia sono tutti di area anarchica. Il ragazzo dopo due anni evidenziava già un certo numero di precedenti penali per comportamenti violenti, a quatto dal richiamo anni ha già trascorso alcuni periodi in carcere.

4) area anarchica secondo caso, ragazzo diciassettenne, viene chiamato il genitore che viene messo al corrente delle frequentazioni del proprio figlio, il padre, all'oscuro di tutto si rivolge al figlio cercando di fargli comprendere che è giusto che lui abbia le sue opinioni ma che anche quelli che evidenziano opinioni diverse hanno diritto al rispetto. Il ragazzo risponde con la seguente frase: "un avversario politico è un nemico e per questo va soppresso". Il padre si mise a piangere per lo sconforto. Il ragazzo ha continuato nella sua attività insurrezionalista, con presenza in parecchie manifestazioni che sfociarono in lotte di piazza. Conseguentemente a questi eventi iniziano a pervenire alla famiglia varie denunce. A questo punto i genitori, persone normali di livello culturale medio superiore, esenti da pregressi rapporti con la giustizia, si presentano in questura inveendo contro le forze dell'ordine dando agli agenti dei delinquenti, quindi non riconoscendo la gravità dei fatti commessi dal figlio.
Ad anni di distanza da quei primi approcci negativi con la giustizia il ragazzo è stato denunciato, vi è stata è a suo carico una richiesta di custodia cautelare per gravi danni fisici provocati durante scontri di piazza ad alcuni agenti.

A distanza di quattro anni, l'unico che non ha più avuto rapporti con la giustizia è stato il ragazzo che, in questura ha ricevuto il ceffone del padre.
A questo punto facciamo alcune riflessioni, quotidianamente cerchiamo di colpevolizzare la scuola, la società, ecc. ma la domanda che occorre porci è "dov'è la famiglia"?
Quando chiamiamo questi ragazzi in questura, cerchiamo di dare a loro degli importanti input ri-educativi e cerchiamo di capire l'origine del loro comportamento,  la cosa devastante è la reazione dei genitori quando vengono chiamati in questura, la prima reazione è spesso di rabbia, in alcuni casi di stizza, ma la cosa comune, dopo aver comunicato loro di cosa è accusato il ragazzo, è una generalizzata reazione di negazione dell'evento ... come se fosse impossibile che il loro ragazzo possa aver commesso un qualsiasi reato, la negazione spesso continua anche a fronte di prove schiaccianti. Nel momento in cui realizzano consciamente che il loro ragazzo ha commesso un reato vi è spesso il crollo emotivo dei genitori.
Ora nel nostro territorio, in conseguenza ad un forse ben distribuito benessere sono pressoché assenti quelle forme di delinquenza per poter acquisire beni status simbol (abbigliamento, smartphone, gadget, ecc.), le motivazioni più frequenti risultano essere l'anticonformismo e la voglia di trasgressione, perché mediante questi comportamenti i ragazzi si sentono più forti e .... vorrei aggiungere perché, a mio avviso, è questo un modo per chiedere attenzione.
Nel caso che il soggetto commetta atti di bullismo per sentirsi più forte si apre una serie di eventi consequenziali che portano il soggetto a confermare il proprio comportamento, ovvero il ragazzo rileva che, mediante il proprio comportamento aggressivo instilla paura in una parte dei ragazzi del gruppo di pari mentre un'altra parte lo ammira ... la sua autostima cresce, ed iniziano a crescere anche le sue richieste, se prima aveva rubato una merendina poi inizia a chiedere soldi, ecc.
Ovviamente se da una parte della barricata c'è il bullo, che vive una propria sensazione di superiorità, dall'altra c'è il bullizzato che vive un angosciante stato di oppressione.
In un caso o nell'altro importante, da parte dei genitori, è l'apprendere a leggere i segnali di un cambiamento del ragazzo, cambio di interessi, variazione degli atteggiamenti in famiglia, crollo delle prestazioni scolastiche, inappetenza, ecc.
Nelle nostre zone poco radicate sono le Baby gang, preoccupazione soprattutto delle forze dell'ordine delle grandi città metropolitane, nelle nostre provincie la maggior parte dei casi riguarda situazioni di gruppetti di pochi ragazzi che si comportano da  bulli e/o compiono atti vandalici per noia o per mettersi in mostra.
Nell'arco degli anni abbiamo notato che questo fenomeno si sta estendendo anche al mondo femminile  donne. Le ragazze abbiamo notato che tendono a seguire uno schema abbastanza preciso e ripetitivo:
- la ragazza cerca la lite
- provoca
- segue l'aggressione verbale
- si arriva all'aggressione fisica.
All'apertura dell'anno giudiziario il presidente della segnalazioni Corte d'Appello ha chiesto al Garante dell'Infanzia e dell'Adolescenza di fare un proprio intervento sul problema giovanile, questi dichiarò che come primo anno su 118 segnalazioni su giovani che avevano commesso atti illegali, quasi tutti i soggetti presentavano alla base una forte conflittualità tra e con i genitori. Ancora una volta abbiamo la conferma che la famiglia è il centro educativo del ragazzo.
Spesso, in questura, facciamo sostare i ragazzi per interi pomeriggi causa dell'indisponibilità dei genitori a presentarsi tempestivamente per propri impegni personali (??!!!). Al loro arrivo pochissimi evidenziano, in modo fermo e deciso, la loro contrarietà all'evento commesso dal proprio figlio, anzi la reazione dei genitori, soprattutto quando si tratta di bullismo è quello di minimizzazione se non di evidenziare accondiscendenza nei confronti dell'atto commesso dal figlio.
Spesso la colpa viene spostata nei confronti degli input forniti dalla società esterna alla famiglia, una società che mostra in forme di icone eroiche i soggetti che esibiscono la loro aggressività.
Cosa curiosa, rilevata dai vari operatori delle questure che aderiscono ai vari progetti nazionali sull'educazione alla legalità, è che i ragazzi spesso non sanno, o non si rendono conto, che certi comportamenti sono reato e questo è un problema. Comprendere che scrivere su un muro "Sara ti amo" è un danneggiamento aggravato è comprendere che quest'azione comporta una pena anche piuttosto grave, a cui vanno aggiunte le spese pulizia, riparazione e/o restauro della struttura imbrattata.
Altra cosa che non sanno i ragazzi, ma presumo anche parecchi adulti, è che successivamente al patto di Schengen, che ha portato all'apertura delle frontiere, tutte le forze dell'ordine dei paesi che hanno aderito a questo patto, hanno la possibilità, mediante comunicazione informatica, di essere a conoscenza in tempo reale di tutta la storia penale delle persone registrate in questi paesi. Esempio illuminate delle conseguenze che questo comporta è la disavventura occorsa ad una famiglia con figlio adolescente che, durante una vacanza in nord Europa, alla frontiera Olanda Francia la polizia dopo gli accertamenti di routine si è vista smontare completamente la vettura e che, dopo non aver trovato nulla di sospetto, si è ritrovata rilasciata dalle forze dell'ordine e con la macchina in quelle condizioni sentendosi dire che toccava a loro rimetterla in ordine ...
Cos'era successo? .... Semplicemente la conseguenza di un reato che in Itali viene spesso banalizzato "Articolo 75 uso di sostante stupefacenti" anche se, la cosa non è poi così banale come sembra in quanto, la reiterata segnalazione dell'uso di stupefacenti porta come conseguenza la segnalazione ad una serie di enti preposti che possono provvedere, a livello amministrativo, alla sospensione di patenti, passaporti, brevetti di volo e/o navigazione, licenze come il porto d'armi ecc. Nel caso di minore le conseguenze sono ancor più accentuate in quanto la  segnalazione viene inoltrata anche servizi sociali alla stessa stregua che il ragazzo avesse compiuto un atto delittuoso di maggiore importanza. Nel caso in oggetto il ragazzo aveva avuto in Italia due segnalazioni  in merito all'articolo 75 (uso di sostanze stupefacenti), quando gli agenti della frontiera francese hanno rilevato sul terminale che il ragazzo aveva pendenze con la giustizio a causa di uso di droghe hanno pensato ad un potenziale caso di detenzione di stupefacenti ed hanno fatto gli accertamenti del caso.
Risultato? La bravata commessa in Italia ha avuto come conseguenza un notevole e costoso disagio per la famiglia in vacanza all'estero.

Dott. Maurizio Saravalli
Pedagogista clinico - Reflector®
Moderatore

Molto spesso sento la gente dire "e tutta colpa della società in cui noi viviamo", come se colui che si lamenta facesse parte di un universo parallelo.
La società siamo noi.
La società è formato dalla somma di IO.
Quando prenderemo coscienza che è partendo da una modifica del nostro personale atteggiamento e comportamento che può modificarsi il sistema sociale ... forse ... ribadisco forse, le cose potranno cambiare in meglio.
Dopo quanto detto dalla Dott.ssa Ori mi sovviene in mente un esperimento statunitense di alcuni anni fa:
Nel 1969, presso l'Università di Stanford, il professor Philip Zimbardo condusse un esperimento di psicologia sociale, lasciò due auto abbandonate in strada, due automobili identiche, stessa marca, modello e colore. Una fu lasciata nel Bronx, zona povera e conflittuale di New York; l'altra a Palo Alto, zona ricca e tranquilla della California.
L'automobile abbandonata nel Bronx dopo poche ore ha cominciato ad essere smantellata, ruote, motore, specchi, radio, ecc. Tutti i materiali che potevano essere utilizzati sono stati presi, e quelli non utilizzabili sono stati distrutti.
Dall’altra parte , l'automobile abbandonata a Palo Alto, rimase intatta.
È comune attribuire le cause del crimine alla povertà. Attribuzione nella quale si trovano d’accordo le ideologie più conservatrici sia di destra che di sinistra. Tuttavia, l'esperimento in questione non finì lì, quando la vettura abbandonata nel Bronx fu demolita e quella a Palo Alto dopo una settimana era ancora illesa, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto. Il risultato fu che scoppiò lo stesso processo, come nel Bronx di New York furto e vandalismo ridussero in breve tempo il veicolo nello stesso stato come era accaduto nel Bronx.
Perché il vetro rotto in una macchina abbandonata in un quartiere benestante e presumibilmente sicuro è in grado di provocare un processo criminale? Non è la povertà ovviamente, ma qualcosa che ha a che fare col comportamento umano e con le relazioni sociali.
In esperimenti successivi gli psicologi James q. Wilson e George Kelling hanno sviluppato la teoria delle finestre rotte, con la stessa conclusione da un punto di vista criminologico, concludendo che la criminalità è più alta nelle aree dove l'incuria, la sporcizia, il disordine e l'abuso sono più alti.
Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo sembra non interessare a nessuno, allora lì si genererà devianza. Se sono tollerati piccoli reati come parcheggio in luogo vietato, superamento del limite di velocità o passare con il rosso, si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.
Se parchi e altri spazi pubblici sono gradualmente danneggiati e nessuno interviene, questi luoghi saranno abbandonati dalla maggior parte delle persone, che smetteranno di uscire dalle loro case per paura di bande, questi stessi spazi lasciati dalla comunità, saranno progressivamente occupato dai criminali.
A casa, se il capofamiglia lascia degradare progressivamente la sua casa,  se permette cattive abitudini di igiene, alimentari, linguaggio, mancanza di rispetto, ecc. gradualmente, cadranno anche la qualità dei rapporti interpersonali tra i membri della famiglia e tra componenti della famiglia e la società in generale.
La teoria delle finestre rotte può essere un'ipotesi valida a comprendere il degrado della società e la mancanza di attaccamento a valori universali, la mancanza di rispetto per l'altro e alle autorità (estorsione e le tangenti) ,la degenerazione della società e la corruzioni a tutti i livelli. La mancanza di istruzione, di formazione della cultura sociale e la mancanza di opportunità, generano un paese con finestre rotte, con tante finestre rotte e nessuno sembra disposto a ripararle.
La “teoria delle finestre rotte” è stata applicata per la prima volta alla metà degli anni ottanta nella metropolitana di New York, divenuto il punto più pericoloso della città. Si cominciò combattendo le piccole trasgressioni: graffiti che deterioravano il posto, lo sporco dalle stazioni, ubriachezza molesta tra il pubblico, evasione del pagamento del biglietto, piccoli furti. In relativamente poco tempo si riuscì a fare della Metro un luogo sicuro. Successivamente, nel 1994, Rudolph Giuliani, sindaco di New York, basandosi sulla teoria delle finestre rotte e l'esperienza della metropolitana, promosse una politica di tolleranza zero. La strategia era quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico fu un enorme abbattimento dei tassi di criminalità a New York.
Il concetto principale è più prevenzione e promozione di condizioni sociali di sicurezza. Non è arroganza da parte della polizia. Infatti, anche in materia di abuso di autorità, dovrebbe valere la tolleranza zero. Non è tolleranza zero nei confronti della persona che commette il reato, ma è tolleranza zero di fronte al reato stesso. L’idea è di creare delle comunità rispettose delle regole che sono alla base della convivenza umana in modo civile e socialmente accettabile.

Dott.sa Paola Accorsi
“Responsabile FFSC Pediatria ospedale di Pieve di Coriano
Intervento: Cibo … Relazione … Educazione
Durante la prima infanzia mentre il bimbo mangia incomincia a creare delle associazioni e dei significati tra ciò che mangia e ciò che gli succede attorno. Questi significati vengono interiorizzati rimanendo dentro il sistema emotivo del bambino, corpo e mente del bambino memorizzano queste esperienze.
A volte ci troviamo di fronte a bambini che rifiutano il cibo rompendo questa azione di interiorizzazione. Ora consideriamo il fatto che nel momento in cui accetto di essere alimentato accetto anche la relazione tra me e chi mi pone il cibo, nel momento in cui rifiuto il cibo rifiuto anche la relazione, in questa situazione, soprattutto nel caso della madre, il rifiuto del cibo viene vissuto come un atto ostile, come se il bambino non accettasse l'amore che lei prova per lui.
Dal momento della nascita il cibo è espressione della relazione madre - figlio.
Il cibo è inoltre espressione di una vera e propria cultura, ci rappresenta come cultura territoriale, come etnia, a volte come cultura religiosa, in conclusione il cibo che noi ingeriamo ci dà un'identità sociale.
L'adolescente può anche scegliere il cibo come modo di differenziarsi, il non mangiare rappresenta anche un modo per rifiutare questa identità, può essere segno di una volontà di non appartenere ad un gruppo, ad una famiglia.
Noi siamo in Italia, uno dei paese nella quale è tradizionale la dieta mediterranea, una dieta che l'UNESCO ha definito come patrimonio dell'umanità. Come patrimonio non è inteso l'oggetto di consumo, come il pomodoro, la pasta o altro, ma la dieta in se intesa come stile di vita. La dieta mediterranea rappresenta infatti la somma di culture, credenze, organizzazioni sociali, universo mitico, religioso, ecc., delle popolazioni di quest'area del mondo.
La dieta mediterranea non esiste se noi non cuciniamo questo cibo con amore e se noi non ci sediamo tutti assieme attorno ad un tavolo. La dieta mediterranea ha il suo significato nella relazione.
Quando si parla di educazione alimentare, non se ne può parlare solo dal punto di vista delle regole nutrizionali, come non si può parlare solo di comportamenti, ma occorre tener conto di tutto il contesto nel quale il comportamento alimentare del soggetto si va ad inserire.
Se il come la persona si alimenta è così importante allora lo spazio dell'alimentazione deve essere considerato come uno spazio privilegiato, uno spazio ove noi possiamo costruire delle relazioni significative, un benessere personale, un benessere che va a far parte della nostra identità individuale.
Il momento del pasto non è un qualcosa che ci fa star bene solo fisicamente ma, soprattutto emotivamente, ma solo quando questo momento è unito alla convivialità, alla condivisione allora si che diventa un qualcosa che cura anche la nostra mente.
Nel preparare questa relazione una cosa che mi ha notevolmente colpito, nell'analizzare i dati che vi avrei proposto, è la conferma del fatto che noi mangiamo in modo completamente diverso se ci sediamo da soli a tavola o se condividiamo il momento del pasto. Se si mangia da soli si mangia una certa quantità di cibo, se siamo in due si tende a mangiare il 30% in più, se siamo più di quattro a tavola in un momento di condivisione ludica del pasto (ex pasto tra amici), si arriva a consumare sino al 70% in più di cibo.
Oggettivamente se dovesse perdurare questa tipologia di condivisione del pasto avremmo forse problemi di linea, ma occorre tener presente che questo tipo di condivisione è un momento che cura la nostra mente.
Purtroppo nella nostra società il cibo è diventato un problema.
Un problema che abbiamo creato noi, la nostra società, il nostro modo di vivere, il modo che abbiamo di rapportarci al cibo.
Ovviamente se noi ci rapportiamo male con il cibo questo non può non ricadere con il modo con cui noi ci rapportiamo con i nostri figli. Se è vero che noi siamo il cibo che mangiamo i bambini lo sono ancora di più, in loro il cibo provoca modifiche molto più rapide, ingrassa, cresce, dimagrisce, reagendo a ciò che ingerisce con un immediatezza enorme.
In Italia cos'è diventato il cibo? Ha perso quella che è la dimensione più ovvia quella della dimensione del gusto e delle proprietà nutritive ed è stato sempre più sostituito da una rappresentazione sociale di se stesso e del proprio modo di stare al mondo.
Noi abbiamo due grandi miti:
• L'efficienza del corpo, noi dobbiamo essere efficienti, dobbiamo avere un alto livello performante, ed è quello che chiediamo anche ai nostri figli, non gli chiediamo di essere bravi nel senso di avere una vita serena, gli chiediamo di essere bravissimi a scuola, devono essere campioni nell'attività sportiva praticata. Una richiesta di efficienza che a volte si traduce in ansia da prestazione e in tensioni emotive.
• La bellezza del corpo, oggi il giudizio estetico viene a sostituire il giudizio etico, cioè oggi tendiamo a considerare BENE ciò che è BELLO. La persona bella è anche quella tendenzialmente considerata buona ed intelligente. La persona "brutta, sgraziata", che non corrisponde ai canoni feroci imposti dalla nostra società è considerata anche di minor valore intellettivo, produttivo, a volte anche etico. Per i nostri ragazzi il peso, inteso come massa corporea, e quindi immagine sociale è diventato qualcosa che da un valore alla nostra persona.

Non è mio desiderio parlare di alimentazione ma come pediatra non posso non ricordare quali sono i principali errori nutrizionali che noi facciamo, errori che facciamo già a partire dai primi mesi di vita ma che si esprimo bene successivamente nell'età scolare dai 5-6 anni:
• Introduciamo troppe calorie rispetto a quelle che consumiamo. Ogni volta che dico questa cosa ad un genitore nove volte su dieci questi mi risponde affermando che il bambino non mangia tanto. Può darsi che, come valore assoluto, il bambino non mangi grandi quantità di cibo ma le calorie  introdotte sono sempre superiore al suo consumo. Rispetto alle attività motorie libere fatte dai bambini di un paio di generazioni fa i nostri figli sono decisamente ipocinetici. Il gioco libero di un bambino degli anni cinquanta richiedeva  una disponibilità energetica enormemente superiore a quella richiesta da un'attività motoria strutturata (sport), fatta da un bambino dei nostri giorni in palestra o nel campetto da calcio sotto la supervisione dell'allenatore.
Sollecitiamo i nostri figli al gioco spontaneo in ambienti aperti e destrutturati (campi oratoriali, parchi, ecc.), i bambini devono recuperare il gioco creativo all'aria aperta.
• Non abbiamo più tempo per la colazione, il pasto più importante della giornata. Se il genitore consuma un veloce caffè alla mattina il bambino, che rapidamente si adegua ai nostri stili di vita, non è sicuramente stimolato a sedersi e fare colazione.
• Mangiamo cibi che, con poco volume ci danno una grande quantità di calorie. Due banalissime merendine, che sicuramente non riempiono lo stomaco e non danno il senso di sazietà, equivalgono ad un piatto di 150 grammi di pasta, che sicuramente soddisfa completamente il senso di fame. Troppa carne, troppi formaggi, troppi carboidrati come patate, succhi di frutta e snack con altissimo indice glicemico. Avere un alto indice glicemico vuol dire che ciò che non brucio va ad accumularsi sotto forma di grasso. Nella nostra dieta compaiono tropo poche fibre e proteine vegetali come i legumi, poco il pesce sulle nostre tavole.
• Da rendere un'eccezione è il cibo del fast food
• Spegniamo la televisione e computer e spingiamo il figlio a sperimentarsi in giochi all'esterno-
• Incongruente diventa poi il sistema alimentare adottato rispetto i messaggi sociali che ci arrivano dai mass media. Possiamo avere un problema di peso ma la prima cosa che vedono i ragazzi quando accendo il televisore è l'attenzione al peso e alla prestanza fisica. I nostri figli crescono in un ambiente in cui noi in casa, la televisione i giornali, i social network non fanno che parlare di diete. Abbiamo genitori che non mangiano perché devono stare a dieta, quale informazione educativa do a mio figlio se io mangio uno yogurt mentre per lui metto in tavola un piatto di pasta?
• Il nostro sistema di vita sociale ha fatto si che i tempi per cucinare si sono estremamente ridotti ma, in compenso abbiamo sempre il frigorifero pieno di cibi pronti all'uso, questo facilita il consumo di cibi fuori orario. Ovviamente se il bambino ha mangiato qualcosa preso in dispensa un'ora prima del pasto, difficilmente a tavola consumerà quello che gli è stato preparato, soprattutto se è questo un alimento non altrettanto soddisfacente al palato.
• Oggettivamente noi adulti facciamo fatica ad essere un esempio positivo per i nostri figli mentre da loro pretendiamo un comportamento corretto. Molti genitori evidenziano la volontà di INSEGNARE ai propri figli a mangiare correttamente, ma occorre ricordare che non si insegna con le parole, si insegna con l'esempio, come adulto devo essere disposto ad essere il primo a fare ciò che voglio sia rispettato dal ragazzo. Se come genitore mangio poco a casa e quando sono a casa mi alimento in modo veloce e sbagliato diventa difficile che io diventi un modello di sano comportamento alimentare. Questo vale ovviamente per tanti altri argomenti di discussione che riguardino l'educazione dei nostri ragazzi. Il pasto in famiglia, come precedentemente accennato, non è soltanto qualcosa che ha un valore nutritivo, ma è un prendersi cura degli altri. L'avere qualcuno che cucina per te è una cura. La minestrina a letto al bambino ammalato è una preziosissima coccola. Viviamo in un mondo separato, dove figli e genitori vivono vite parallele dove sempre più rari sono i momenti di incontro. II pasto può essere uno di questi.
• Come genitore devo insegnare ai nostri bambini a consumare un'ampia varietà di alimenti, bellissima frase ma che si scontra con un dato di fatto, ovvero che i bambini sono tra le creature più conservatrici e prudenti della terra. Non ha voglia di fare esperimenti. Noi dobbiamo sollecitare, coltivare ed incoraggiare nei nostri figli la curiosità. La curiosità è alla base della nostra capacità di adattarci. La vera intelligenza non si evidenzia con i voti presi a scuola ma con la capacità di adattarsi alla vita. Insegnare ad essere curiosi e, conseguentemente, ad essere adattabili costa a noi genitori grande fatica in quanto vuol dire insegnare ai figli a diventare autonomi. Il bambino può affrontare nuove esperienze, come nuovi alimenti solo se noi li affrontiamo assieme a loro. Quando inserisco il pesce nella dieta di un bambino piccolo faccio sempre la domanda chi mangia il pesce in casa? Di fronte alla risposta che almeno uno dei due genitori non mangia pesce io so già che finito il periodo dell'omogeneizzato il bambino non mangerà più pesce. I bambini non mangiano quello che noi non mangiamo. Se in casa abbiamo un genitore bravo ed attento ad un'alimentazione corretta e uno selettivo con un'alimentazione basata a volte su schifezze il bambino prenderà la strada delle schifezze. Per educare il bambino ad una buona alimentazione serve tempo e pazienza.
• L'insistenza è deleteria , il bambino si irrigidisce sulle sue posizioni. Debbo offrire e far vedere che mangio la stessa cosa con gusto ed aspettare che il bambino voglia provare. Inizialmente mi accontento del solo assaggio. Se il bambino accetta di provare non dobbiamo seguire con un premio commestibile che faccia piacere al bambino, esempio mi ha mangiato una foglia di insalata e io lo premio con la nutella. Usiamo delle altre modalità ad esempio, ogni cinque volte che mangi una cosa per te difficile ti porto a Gardaland o al cinema, ma non offro altre cose alimentari che a lui piacciono come premio.
• Anche se abbiamo fretta non imbocchiamo il nostro bambino. Un bambino entro i due anni deve essere in grado di mangiare da solo, poi posso aiutarlo a finire ma quella è una coccola.
• Accettiamo che si sporchino.
• Facciamo si che i bambini mangino ad un orario regolare, facendo in modo che si sviluppi il ciclo fame -> alimentazione -> sazietà.
• Come genitore sono responsabile di ciò che do a mio figlio, della quantità , della qualità e del modo (non si mangia in piedi o mentre si gioca)

Negli ultimi lustri la nostra società evidenzia si un aumento dei casi di obesità sia un aumento dei disturbi alimentari. Il 10% della popolazione femminile di età compresa fra i 12 e i 25 anni soffre di un disturbo collegato all'alimentazione. Oggi per la popolazione di sesso femminile l'immagine corporea è diventata l'unica cosa sulla quale molte volte si sentono giudicate. Essere adolescente oggi è una situazione difficilissima, la nostra è una società che premia l'apparenza e non la sostanza, l'aspetto e non la qualità di pensiero.
Nei disturbi alimentari il cibo è completamente disinvestito dall'aspetto nutrizionale, è legato alla dipendenza affettiva, al bisogno, diventa strumento di scambio, di comunicazione ... diventa ed evidenzia un disturbo della relazione. Torniamo a quanto detto precedentemente, il cibo è relazione, nel disturbo alimentare il cibo diventa disturbo della relazione, un disturbo che crea una struttura identitaria di quel ragazzo o quella ragazza, ovvero io mi costruisco un'identità che mette al proprio centro il disturbo alimentare come capacità di controllare il mio corpo, so controllare quello che mangio e con questo cerco di controllare il dolore profondo che ho dentro di me. La mia difficoltà di diventare grande, di trovare un'identità.
Anche lo spreco fa parte dell'educazione alimentare, dal 1974 ad oggi lo spreco alimentare nel mondo è aumentato del 50%.
Negli Stati Uniti buttiamo il 40% del cibo prodotto.
Prima che il cibo giunga sulle tavole degli italiani ne perdiamo una quantità che potrebbe soddisfare 44.000.000 di abitanti.
Lo spreco è così elevato che L'Unione Europea ha proposto di ridurlo almeno del 50% entro il 2025.
Non sappiamo più fare la spesa, compriamo troppe cose. Non sappiamo organizzare l'acquisto in funzione della necessità.
Nell'intera filiera agroalimentare italiana, dal produttore al consumatore finale, si sprecano circa 6.000.000 di tonnellate di cibo all'anno, pari al 16% dei consumi.
Il 32% del cibo gettato viene smaltito nelle discariche.
Come genitore penso che dobbiamo insegnare anche questo ai nostri figli.
A non sprecare.
Sprechiamo i sentimenti, sprechiamo il cibo, ma  come detto il  cibo è relazione, sprecare cibo equivale quindi a sprecare relazione.

Dott. Maurizio Saravalli
Pedagogista clinico - Reflector®
Moderatore
Prendo spunto dall'intervento della Dottoressa Accorsi in merito alla necessità per i nostri ragazzi di gioco libero, destrutturato e all'aperto, per fare alcune considerazioni.
La dottoressa nel suo intervento fa riferimento al ritorno del un gioco libero, guidato solo dalla loro fantasia, un gioco che permetta di sperimentare la loro corporeità, che li aiuti ad incrementare le loro naturali capacità di comunicazione e socializzazione. In sostanza il riappropriarsi di un modo di giocare senza regole, senza tempo ne tempi da rispettare. Ma proprio sul tempo e sui tempi pongo le mie puntualizzazioni.
I nostri bambini vivono sono da noi costretti a vivere una ristrutturazione dei ritmi sociali operata dalle ultime generazioni di adulti lavoratori. Sino agli anni 80-90 poche se non pochissime erano le scuole che operavano tempi prolungati o rientri scolastici pomeridiani. I bambini rientravano a casa verso le 12.30 circa e per loro si apriva un lungo pomeriggio da dedicare, compiti a parte, al gioco libero. Spesso uno dei genitori non lavorava, i parchi, i giardini, i campi oratoriali erano liberi e differentemente da oggi non considerati "mal frequentati", quindi pieni di bambini, con poche mamme al loro controllo, se non assolutamente assenti.
Non esistevano i giochi elettronici.
E oggi?
Oggi le cose si presentano in modo al quanto complesso, disoccupazione a parte, spesso entrambi i genitori lavorano, da cui nasce la necessità di trovare un luogo adeguatamente protetto in grado di gestire in sicurezza il figlio piccolo o preadolescente, conseguentemente le scuole e/o altre strutture si attrezzano per sostituirsi al tempo genitoriale e/o ludico.
I nostri bambini, già dai primi anni di scuola vivono in un ambiente strutturato extrafamigliare per un tempo che, pranzo compreso, può rasentare le 50 ore. A queste dobbiamo aggiungere spesso le attività sportive, religiose, o culturali extrascolastiche a cui il bambino viene iscritto che, tra andata e ritorno aggiungono, ma meglio dovrei dire tolgono mediamente 4-7 ore settimanali.
Un breve accenno alle attività sportive extrascolastiche.
È evidente a tutti che le nuove generazioni di bambini sono oggettivamente ipocinetici, goffi e con la necessità impellente di sviluppare almeno un minimo di capacità coordinative. Non penso sia necessario evidenziare il fatto che i nostri bambini/ragazzi non sanno più arrampicarsi su un albero, la tragedia è che quando vengono in palestra evidenziano il fatto di non riuscire a fare una normalissima capovolta, volgarmente chiamata capriola. L'ambiente sportivo diventa quindi necessario non solo come ambiente ludico, ma come terapico luogo di cura contro la loro malattia sociale, l'ipocinesi. L'ambiente sportivo è ove si insegna a giocare col proprio corpo, ed apprezzarne le sue prestazioni. Ma il corso sportivo è sempre e comunque un luogo strutturato, con le sue regole dove, nella quasi totalità delle situazioni, si insegnano attività specifiche e codificate, attività che non solo non tengono conto della necessità del bambino di fantasizzare, ma  all'opposto chiudono ulteriormente questa capacità per incanalarla ad uno specifico obbiettivo. La precoce specializzazione alla specifica disciplina sportiva non è altro che un precoce addestramento cognitivo, sport uguale a sommatoria di regole alle quali mi devo attenere, pena l'esclusione dal gioco, ed al sistema sociale connesso.
Al bambino è precocemente impedito il fare ciò che vuole, come l'adattare il gioco a se. Se è inserito in una squadra di calcio, a meno che non sia il portiere, non può toccare il pallone con le mani, se vuoi usare le mani o fai il portiere o giochi a rugby, .... ma con una palla di forma diversa.
A questo punto mi chiedo quale tempo e quale luogo ha a disposizione un bimbo per poter liberare le sue immani potenzialità?
Passare dalla progettazione di un massiccio ponte romano all'esile e snella figura del ponte di Brooklyn, serve un'enorme sforzo di fantasia, servono grandi capacità di pensiero laterale, ma come e quando un fanciullo ha la possibilità di misurarsi con se stesso e con le proprie capacità?
Le capacità immaginifiche nascono dalla sperimentazione quotidiana, il bambino deve sporcarsi, manipolare.
La fretta altro termine che uccide il nostro sistema sociale. Tutti hanno fretta .... per arrivare dove ... nessuno lo sa ... ma tutti sono di corsa.
La dottoressa prima accennava che al più presto possibile occorre smettere di imboccare il bambino, servirà più tempo, si sporcherà di più,  ma la crescita è sperimentazione.
Quando parliamo di fretta mi viene in mente un'immagine paragone: quanti bambini, sotto gli otto anni, portano oggi le scarpe con i lacci?
Piccolo aneddoto personale; da ormai una decina d'anni partecipo, nel ruolo di tecnico sportivo, ad un Centro Ricreativo Sportivo estivo per bambini in età scolare che vanno dai 6 ai 13 anni,  durante una normalissima lezione mi sono inventato sul momento un gioco estremamente semplice e rapido da proporre a bambini di seconda e terza elementare (7-8 anni). Il gioco consisteva nel far fare ai bambini un breve scatto (andata e ritorno), agli estremi del breve tratto da percorrere di corsa alcuni pezzetti di spago, vince chi riesce ad annodare i pochi pezzi di spago messi a terra nel più breve tempo possibile.
Un normalissimo nodo
Panico ... non sanno fare il nodo.
A livello di manualità hanno le dita che viaggiano alla velocità della luce su una console di un video game o su u joystick  ma non riescono ad utilizzare due pollici e due indici per fare un nodo.
Abbiamo un problema.
Riprendiamo ora qualcosa a cui abbiamo accennato precedentemente, quante ore un bambino ha la disponibilità per se dei propri genitori? Il calcolo è matematico e la matematica sembra non essere un opinione.
Come avevamo detto solo l'ambiente scolastico arriva, in alcuni casi, ad inglobare il bambino nel proprio sistema, tenendo conto anche delle sospensioni per il pranzo spesso consumato sempre nel medesimo ambiente, anche di 40-45 ore a qui aggiungere dalle 4 alle 7 ore medie di attività extrascolastiche come attività sportive, religiose, culturali, musicali, ecc. )nel calcolo si tiene conto anche di spostamenti e relative attività connesse come preparativi, docce, ecc.),  a queste dobbiamo aggiungere le 8 ore quotidiane circa di sonno, l'ora e mezza per colazione e cena e l'ora o due di compiti quotidiani (dati anche in presenza di tempo prolungato).  
Rifaccio la domanda, quanto tempo resta un genitore per vivere il proprio figlio e viceversa?
Il tempo trascorso "con altri" è comunque un tempo nel quale il bambino viene "educato da altri".
Oltre ad essere educato da altri il bambino viene anche "etichettato" da altri, ovvero su di lui si accumulano impressioni, percezioni e opinioni personali in merito al suo carattere, alle sue capacità fisiche e/o cognitive, ai suoi atteggiamenti e comportamenti, che vengono trasmesse dagli adulti di riferimento del momento ad altri adulti di riferimento, costruendo in questo modo l'opinione sociale del futuro adulto.
A questo punto vorrei accennare ad un altro esperimento di psicologia sociale premettendo che, anche se l'esperienza riguarda il mondo dell'insegnamento, l'esperimento ha un valore sociologico globale in quanto è ripetibile anche in altre situazioni quali quella lavorativa, quella aggregativo ludica e così via.
Trattasi di un esperimento fatto negli Stati Uniti, dal  biologo, Rosenthal e dalla psicologa Leonore Jacobson, negli anni ’60 in California, nel Distretto di San Francisco, in un ambito ad alto tasso di povertà e degrado con un sistema scolastico in cui gli insegnanti provenivano per lo più dalle classi medie.
Secondo i due ricercatori, quando una maestra osserva i bambini il primo giorno di scuola cerca di intuire chi avrà un buon profitto, ritenendo che i migliori risultati li avranno gli appartenenti al ceto medio, chi invece fa parte del ceto inferiore sarà pre-giudicato insoddisfacente, nonostante la certezza che un bimbo che vive una situazione di indigenza possa essere intelligentissimo ed un bimbo ben vestito e lindo possa avere problemi cognitivi.
Il fatto di aspettarsi minori prestazioni dai bambini delle classi socialmente meno abbienti fa aumentare, nel tempo, il dislivello reale tra fanciulli di ceto diverso perché c’è un atteggiamento differente.
Le aspettative in merito alla prestazione di un soggetto possono essere influenzate da fattori come la classe sociale di appartenenza, l'etnia, il livello culturale dei genitori, pregressi risultati di test di intellettivi e, soprattutto, le precedenti accennate etichettature, ovvero quella serie di informazioni, spesso non oggettive ma soggettive trasmesse dai vari soggetti educativi che ruotano attorno al bambino.
Il fanciullo che, in questa cacofonia di informazioni, viene categorizzato come fonte di problemi perché infrange le regole, commette atti socialmente non accettabili, evidenzia difficoltà di attenzione, evidenzia prestazioni curriculari non adeguate, ecc., nel tempo viene chiuso in una bolla interpretativa, ogni sua azione confermerà questa opinione nei suoi confronti. Questa visione può portare il ragazzo a sentirsi discriminato e, re-attivamente condurlo ad auto-rafforzare questa altrui visione, finendo per cercare compagni etichettati come lui che comprendendolo gli donano quella sicurezza che a lui manca.
Soggetti etichettati come problematici, uniti in una forma di mutuo soccorso, generanti una re-attiva sottocultura (a sua volta etichettata come deviante).
Ognuno di noi ha ricordi in merito a persone che non brillavano a scuola (ricordo sgradevole che potrebbe essere riferito anche a noi stessi). Ora, se quella persona dei nostri ricordi (o noi stessi), fossa stata trattata diversamente tutto sarebbe rimasto uguale? Spesso infatti la gente agisce tendendo a confermare le aspettative in quella che è definita "autorealizzazione delle previsioni interpersonali". Se ci aspettiamo che una persona sia simpatica il modo in cui la trattiamo può contribuire a confermare la gradevolezza di quella persona se, viceversa, ci aspettiamo di comunicare con una persona antipatica il nostro modo di accostarci può contribuire a renderla sgradevole.
Ebbene i due ricercatori Rosenthal e  Jacobson, si posero la medesima domanda e decisero di effettuare uno studio sulle “profezie che si autoavverano”.
L’ipotesi di partenza era: se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri. Di conseguenza, il bambino si convincerà pian piano del giudizio dei suoi insegnanti e, nel tempo tenderà a divenire esattamente come gli insegnanti lo avevano disegnato.
Per confermare ciò misero in piedi un esperimento di psicologia sociale all’interno di una scuola elementare. Per prima cosa sottoposero un test di intelligenza agli alunni della scuola. Successivamente selezionarono, in maniera casuale e senza badare all’esito del test, un numero ristretto di alunni, ed informarono gli insegnanti che si trattavano di bambini molto intelligenti e che potevano aspettarsi da quei soggetti una rapida crescita prestazionale. Fortunatamente i due ricercatori, nello svolgimento del loro lavoro evidenziarono di perseguire un etica invertendo i termini dell'ipotesi iniziale da negativi a positivi ovvero da meno dotato a più dotato.
Dopo un anno, i due ricercatoti ripassarono nella suddetta scuola e verificarono che gli alunni che erano stati segnalati come molto intelligenti avevano effettivamente confermato le previsioni, anzi si può dire che erano andati oltre le previsioni, perché avevano migliorato oltre le aspettative il loro rendimento.
Ma come è potuto accadere tutto ciò? È avvenuto grazie all’influenza positiva esercitata da parte degli insegnanti che riuscirono a stimolare negli alunni un vivo interesse, incoraggiandoli, credendo nelle loro capacità, dal momento che erano considerati i più intelligenti. L’adulto, esprimendo fiducia nel ragazzo e nelle sue capacità di raggiungere l’obiettivo, fa in modo che egli lo raggiunga veramente.
La mancanza di fiducia produce frustrazione e paralisi.
L’effetto Pigmalione, questo è il nome dato al risultato dell'esperimento, si manifesta anche in tutti gli  altri ambiti sociali, un dipendente produce di più e meglio se i capi reparto si aspettano da lui un buon rendimento, uno sportivo più facilmente raggiunge elevati obbiettivi quando l'allenatore ha di lui una buona impressione, persino in ambito sanitario si hanno migliori risultati se la cura è accompagnata da buone aspettative di riuscita, una diagnosi sfavorevole acquista una potenziale di conferma che la rende a volte determinante.
L'insegnante che giudica in modo positivo l'allievo crea un'atmosfera più accogliente; fornisce maggiori momenti di scambio informativo, fornendo così maggiori informazioni e di maggior qualità; fa si che l'errore sia strumento di comprensione e non solo oggetto da sanzionare con un voto negativo.
In fin dei conti un insegnante è una persona che se pensa di lavorare con persone in gamba e simpatiche lavora di più e meglio. Non succede anche a noi?
Il dubbio amletico che mi sovviene al termine di questa disquisizione, dubbio a cui non voglio dare una risposta, è ... "e per tutti quei fanciulli giudicati, a torto o ragione, in modo non sempre felice qual'é la qualità dell'insegnamento, e quali le aspettative di riuscita del ragazzo?"
Per i motivi accennati, si chiede un minimo di attenzione nel momento in cui si trasmettono informazioni riguardanti una persona ad un'altra persona che la dovrà poi seguire. La cosa ad esempio succede quando le insegnanti delle scuole elementari passano la consegna alle insegnanti delle scuole medie, nel momento in cui si trasmetto delle informazioni su un bambino si trasmettono anche degli stati emozionali ... è inutile che ce lo vogliamo nascondere, quando un ragazzo ci viene descritto in modo negativo durante le nostre attività con lui cerchiamo tutte quei segnali che confermano quanto ricevuto come informazione, quando il ragazzo ci viene presentato in modo estremamente positivo l'errore da lui commesso è l'eccezione che conferma la regola.
Il figlio di un delinquente non è un delinquente ... è un figlio, con tutto un percorso educativo fatto e da fare.
Attenzione perché ciò che noi adulti pensiamo degli altri si trasforma in un atteggiamento degli altri.
Ho precedentemente parlato di una ragazzina che non riuscendo a gestire la propria persona in questa società si è tolta la vita, ... come era considerata da questa società?
Termino esortandovi a pensare al fatto che i ragazzi che in un modo o nell'altro vengono tagliati fuori dal sistema ambiente, in considerazione del fatto che l'uomo è soggetto sociale, hanno la necessità di trovare altri sostegni.
Chi cercheranno come sostegno?
Cercheranno altre persone che li comprendono, quindi, se il bambino "problematico" viene estromesso dal gruppo dei "bravi bambini", troverà quelli che vivono situazioni emozionali simili alle sue, che lo capiscono, formando quelli che avevo precedentemente definito come gruppi di auto-sostegno.

Dott. Thamianos Fanos  
“Dirigente di Struttura Semplice SPDC ospedale di Pieve di Coriano”
Intervento: La rete … libertà in gabbia?
Faccio lo psichiatra, e vivo all'interno di un reparto di psichiatria. Rifacendomi ad alcune precedenti dichiarazioni devo dire che anche per la mia persona in adolescenza sport e famiglia sono stati stato estremamente utili per tenermi lontano dalla droga.
All'epoca c'era il problema dell'eroina, della cocaina e della marijuana, adesso ci sono droghe molto più complicate, mi viene da pensare alla droga dello stupro il GHP, o alcune droghe che fra poco invaderanno il mercato italiano come il coccodrillo che è la desmorfina, o la droga del cannibale il mefedrone, tra l'altro molte di queste sono facilmente reperibili attraverso la rete.
Lo sport mi ha permesso di stare lontano da cose molto brutte. Quello che ho imparato di positivo mi arriva dallo sport e dalla mia famiglia.
Oggi dovrei parlare di media digitali e di tutto quello che i media digitali possono fare in senso negativo agli adolescenti che incontrano queste nuove tecnologie. Prima di parlarvi di questo voglio dire che sicuramente ci hanno dato delle cose molto utili in termini di velocità e connessione con il resto del mondo, ma usare troppo i media digitali ci fa perdere una cosa che ci ha caratterizzato per lo meno dal 1450 in poi, cioè da quando Guttemberg ha inventato la stampa e il libro ha avuto una grande diffusione. Da quel momento per tutti diventava possibile leggere ed acculturarsi, adesso con i media digitali questo strumento bellissimo che è il libro, sta diventando obsoleto.
Da alcuni dati CENSIS i ragazzi italiani leggono il 2,3% in meno il giornale rispetto all'anno precedente e il 4% in meno i libri.
Da una notizia del quotidiano "Repubblica" di alcuni giorni fa ho appreso che in una strada londinese ricca di negozi specializzati in alta tecnologia è stata depredata da una banda di giovani teppisti, l'unico negozio che è stato risparmiato era una libreria ergo, per i ragazzi i libri non avevano alcun interesse.
I ragazzi di oggi sono i Google, la Net Generation, la generazione coppia e incolla, sono i nativi digitali, mentre noi adulti siamo gli immigrati digitali. Loro ne sanno molto più di noi e quindi noi dobbiamo cercare di metterci al passo con loro per arrivare ad una educazione civica digitale, quella che viene chiamata netiquette, un termine che unisce il vocabolo inglese network (rete) e quello di lingua francese  étiquette (buona educazione)). È un insieme di regole di mera educazione che disciplinano il comportamento di un utente di internet nel rapportarsi agli altri utenti.
Siamo noi adulti che dobbiamo apprendere come seguire i nostri ragazzi nell'utilizzo della rete altrimenti loro, che ne sanno molto più di noi, possono andare incontro a pericoli che sono all'interno della rete stessa.
C'è un modo di leggere e di ragionare dei ragazzi della generazione digitale che è, molto diverso dal nostro. Noi siamo abituati a leggere da sinistra verso destra e dall'alto verso il basso, adesso chi legge le pagine su internet legge la prima riga, la terza riga e le iniziali delle righe successive a F (Fast velocità).
Un lettore medio ci mette circa 4,4 secondi a leggere 20 parole e di solito leggiamo circa il 18% della pagina. I tedeschi sono i più veloci di tutti perché impiegano 20 secondi a leggere questa pagina, i Canadesi 21 secondi, italiani e francesi 27 secondi ... ma in realtà non ricorda niente della pagina che ha letto.
Questo modi di leggere le informazioni al computer sta diventando pervasivo, ed è un modo che ci fa ragionare in modo diverso.
A seguito vi porto la testimonianza del professore Marco Lodoli, tratto dal libro "Vento tra i banchi", che racconta come i ragazzi di oggi fanno fatica a ragionare:
"A me sembra che sia in corso un genocidio di cui pochi si stanno rendendo conto, ad essere massacrate sono le intelligenze degli adolescenti, il bene più prezioso di ogni società che vuole distendersi verso il futuro. Non dovete prendere questa mia affermazione in modo metaforico, e non dovete neanche pensare a una delle solite tirate contro i giovani che non hanno voglia di fare niente, che disprezzano i valori alti e la cultura. Non si tratta di denunciare un certo naturale menefreghismo e nemmeno l' inclinazione ossessiva al consumo che dimostrano i gruppi giovanili. La mia non è la sparata moralistica di chi rimpiange i bei tempi in cui i ragazzi leggevano tanti libri e facevano tanta politica. Io sto notando qualcosa di molto più grave, e cioè che gli adolescenti non capiscono più niente. I processi intellettivi più semplici, un'elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta, ma anche il semplice resoconto di un pomeriggio passato con gli amici o della trama di un film, sono diventati compiti sovrumani di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a bocca aperta, in silenzio. Le qualità sentimentali sono rimaste intatte, i miei alunni amano, odiano, fanno amicizia, si emozionano, si indignano, arrossiscono, ridono, piangono, tutto come sempre - ma le capacità logiche, mentali, paiono irreparabilmente compromesse. In ogni classe ormai ci sono almeno due o tre studenti che hanno bisogno dell' insegnante di sostegno: voi penserete che si tratti di ragazzi affetti da qualche handicap fisico o da qualche grave disturbo mentale, ma spesso non è così. All' inizio è persino difficile distinguerli dagli altri, perché nella classe paiono tutti ugualmente storditi, come se i cervelli avessero subito qualche lieve ammaccatura. Questi quindicenni sono sani e pressoché normali , ma a me sembrano solamente l'avanguardia di un mondo diretto verso le tenebre. Semplicemente non capiscono niente, non riescono a connettere i dati più elementari, a stabilire dei nessi anche minimi tra i fatti che accadono davanti a loro, che accadono a loro stessi. Ripeto: sono appena più inebetiti degli altri, come se li precedessero di qualche metro appena nel cammino verso il nulla. Loro vengono considerati ragazzi in difficoltà, ma i compagni di banco, quelli della fila davanti o dietro, stanno quasi nelle stesse condizioni.
Gli insegnanti si fanno in quattro, cercano di rendere le lezioni più chiare, più dirette, si disperano e si avviliscono, ma non c' è niente da fare, le parole si perdono nel vento, sono semi che rimbalzano su una terra asciuttissima che non fiorisce mai. La cosa più triste è che questo deficit progressivo dell' intelligenza si nota soprattutto nei ragazzi delle classi sociali più povere. I giovani borghesi hanno in casa libri, dischi e computer, hanno genitori ambiziosi e fratelli in carriera, hanno cento stimoli in più per andare avanti decifrando in qualche modo la realtà. I giovani delle borgate sono avvolti da un' ottusità che fa male. Veramente non capiscono nemmeno chi sono e cosa stanno facendo, spesso non sanno più incollare una parola all' altra, un pensierino a un altro pensierino. Sono perduti in una demenza progressiva e spaventosa. Crescono rintronati dalla televisione, dalla pubblicità e da miti bugiardi, da una promessa di felicità a buon mercato, da mille sirene che cantano a squarciagola, e accanto a loro non c' è altro che riesca a farsi spazio. E così, poco alla volta, perdono ogni facoltà intellettiva, fino a diventare totalmente ottusi. Sia chiaro: il problema non è che non sappiano nulla di una guerra imminente o dell' Europa unita o di chi ha vinto l' ultimo festival del cinema a Venezia; il problema è che non riescono a ragionare su nessun argomento, perché qualcosa nella testa si è sfasciato. Vi prego di credermi, non sono un apocalittico, non grido al lupo al lupo solo per creare apprensione. Sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa. Il nostro mondo è in pericolo non solo per l' inquinamento, la violenza, l' ingiustizia, il prosciugamento delle risorse prime. La nostra civiltà rischia grosso soprattutto perché la confusione sta producendo esseri disadattati, creature che non saranno in grado di cavarsela, milioni di giovani infelici che strada facendo - la strada che noi adulti abbiamo disegnato - hanno perduto il pensiero. Dopo essersi spente nelle campagne, le lucciole ora si stanno spegnendo anche nelle teste."
Penso che questa sia una testimonianza molto importante, agli educatori e agli insegnanti consiglio anche il libro di Massimo Recalcati che si intitola "un'ora di lezione". Dove si dice come un'ora di lezione tenuta in modo appassionante possa far cambiare la vita ad uno studente. Tutti noi abbiamo un professore che forse ci ha trasmesso qualcosa in più rispetto agli altri.
In sostanza Recalcati dice: se riusciamo ad erotizzare la lezione, se riusciamo a far desiderare la materia ai ragazzi forse riusciamo veramente a cambiargli la vita, forse un'ora di lezione cambia la vita. Tra l'altro questo libro è molto bello perché l'ultimo capitolo è una lettera che l'autore scrive ad una sua insegnante che gli ha cambiato la vita, un passo molto commovente.
Il libro è difficile, ma dice delle cose molto interessanti.
Io personalmente posso dire di aver avuto la fortuna di portare nel cuore questo tipo di insegnante. Una persona speciale che mi ha insegnato l'autoironia e soprattutto mi ha detto una cosa che mi ha cambiato la vita, una cosa sulla quale sto ancora riflettendo: "io so che tu studierai la mia materia e quindi non ti interrogherò mai perché so che tu sarai sempre preparato".
Be ... indipendentemente dal come andavo a scuola nelle varie materie, la materia di quel professore l'ho sempre studiata perché non volevo deluderlo. Questo per dirvi che un professore, con il suo esempio ci può indicare una strada e aiutarci ai rimanere fuori dalle cose brutte della vita.
Ora, visto che lo scenario del mondo degli adolescenti italiani si presenta alquanto inquietante, ho scelto le parole del un mago del thriller Stephen King tratte dal romanzo "Stend by my", che racconta la vicenda adolescenziale che ha cambiato la vita dei protagonisti del romanzo. Il passo recita: "questa è la cosa peggiore secondo me, quando il segreto rimane chiuso dentro, non per mancanza di uno che lo racconti, ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare".
L'importante è l'ascolto, anche l'ascolto del silenzio. Anche se i ragazzi non dicono nulla dobbiamo accorgerci dei loro cambiamenti, perché i cambiamenti sono il segnale di qualcosa che non va, prima ce ne accorgiamo meglio è.
In questa situazione, la famiglia è sotto accusa, nel senso che il 50% dei matrimoni finiscono male e del 50% dei matrimoni che reggono nel 25% dei casi i coniugi rimangono assieme non per i figli, come dichiarano, ma per il semplice fatto che economicamente non sarebbero in grado di reggere la separazione, a conferma sono piene le pagine dei giornali di racconti di padri costretti a dormire nei dormitori pubblici in quanto non in grado di permettersi un nuovo affitto.
Ovviamente la disgregazione della famiglia non va di certo a vantaggio dei giovani.
Vi accenno ora una definizione di una pediatra francese che denomina il disagio vissuto in un certo periodo della vita del giovane come il  "complesso del gambero", nel senso che il giovane ad un certo punto si sente come il gambero quando in un periodo del proprio ciclo vitale perde il suo guscio, ovvero nudo, fragile in balia delle difficoltà che la vita gli pone di fronte.
C'è un educatore che ha scritto un libro molto interessante che si intitola "adolescienza impossibile" quasi che l'adolescenza sia una scienza da studiare, un passo del libro recita le seguenti parole: "l'adolescenza è un periodo tra due ancora, è ancora troppo piccolo, non è ancora troppo grande".
Sappiamo quando l'adolescenza incomincia dal punto di vista fisiologico perché le bambine iniziano le mestruazioni, che ai nostri giorni accadono già verso i 10-11 anni, nei maschi con la comparsa dei caratteri sessuali secondari con la comparsa della pubertà, pubes in latino significa pelo.
Sappiamo quando l'adolescenza inizia, ma non sappiamo quando l'adolescenza finisce.
Il 60% dei ragazzi italiani dai 25 ai 35 anni vivono ancora con i genitori, il 44% delle ragazze lo stesso, per utilizzare i vantaggi del vivere in famiglia.
C'è una sentenza della corte di cassazione che dice che i genitori sono costretti a mantenere i figli sino a quando questi non sono riusciti a trovare un lavoro.
L'immagine che segue l'ho messa perché mi ha fatto ridere, riguarda una frase riportata su un papiro egizio dei sacerdoti di Heliopolis del 3000 a.c. che dice che i giovani del tempo non erano come quelli che li avevano preceduti, non veneravano gli dei, non rispettavano i sacerdoti, non raccoglievano il limo dalle rive del Nilo, non coltivavano la terra e non badavano agli animali ... la stessa cosa che sento dire dai genitori quando vengono nel mi studio: ai miei tempi i figli avevano più rispetto, ai miei tempi studiavano sul serio, ai miei tempi i giovani non si annoiavano mai ... insomma i ragazzi del periodo nel quale viviamo come adulti sono sempre peggiori di quando eravamo giovani.
I giovani vanno capiti non confrontati in quanto ogni generazione evidenzia delle differenze che non rappresentano tout court un miglioramento o un peggioramento. Proviamo per un attimo a ricordare come ci sentivamo quando i nostri genitori non ci capivano.
Sullo sfondo l'immagine di un film di Francois Truffaut, un regista francese rappresentante della nouvelle vague. La storia di questo regista è particolare, sin dai quattro anni, onde evitare i furibondi litigi dei genitori si andava a rifugiare dentro un cinema, il cinema rifugio diventa il cinema passione, e la passione si evolve in professione come regista.
Ora vorrei darvi un'altro spunto facendovi riflettere su un modo di pensare un po' diverso, ovvero sul fatto che il mondo adulto è a matrice del mondo giovanile, stampo.
Se questo fosse vero possiamo pensare al disagio giovanile come un modo per dirci Non voglio diventare grande come voi?
Se voi ci pensate noi adulti alla vista i un giovane siamo brutti, disillusi, stiamo diventando vecchi, non abbiamo idea di un futuro, dobbiamo ridere alle battute del capo, quindi metterci una maschera sociale, per non apparire oppositivi. Al contrario nel gruppo dei pari per i ragazzi la bugia è una cosa bruttissima. I ragazzi sono sinceri, noi spesso viviamo di falsità e chiediamo ai ragazzi di diventare come noi. Con il nostro diseducativo esempio mostriamo tutti i limiti del diventare adulti, siamo perennemente arrabbiati con tutti e per tutto, siamo quelli del bullismo adulto della corruzione, del predominio del più forte, della prevaricazione del marito sulla moglie, del mobbing sul lavoro.
A questo punto ribadisco ... se i ragazzi con il loro disagio ci dicessero "non vogliamo diventare come voi"?
È questa un'interpretazione su cui riflettere.
A questo punto passiamo ai problemi generati dalla rete, partendo dalla storia di Carolina, una ragazza di 14 anni, è questa una delle numerosissime notizie di ragazzi che si uccidono perché i compagni hanno postato in rete immagini compromettenti di lei.
Continuo con un altro esempio di quanto la rete possa essere pericolosamente diseducativa se non ben gestita. Di recente gira tra i giovani un gioco, un adolescente "nomina", sulla pagina di una social network, un'altro adolescente, chi viene nominato è obbligato ad ubriacarsi in diretta, bevendo grandi quantità di alcool nel minor tempo possibile per dimostrare di "avere gli attributi", se non lo fa "è uno sfigato".
Una prova di iniziazione per dimostrare di essere all'altezza del gruppo dei pari.
Ho letto parecchi libri sia pro che contro la perenne connessione in rete. A dire la verità i libri che considerano nocivo la prolungata e costante connessione in rete sono la netta maggioranza.
Vado ora a citarvi tre libri:
• "Perché internet ci rende stupidi" di Nicholas Carr.
• "Perché la rete ci rende intelligenti"
• "Demenza digitale" di Manfred Spitzer
Vi leggo ora un passo dal libro "Perché la rete ci rende stupidi":
"la rete sembra distruggere la capacità di contemplazione e concentrazione la mia mente si aspetta di  assorbire le informazioni esattamente nel modo in cui vengono distribuite nella rete sotto forma di flusso in rapido movimento di piccole particelle; i miei amici sostengono la stessa cosa più si connettono alla rete più devono faticare per concentrarsi per scrivere brani più lunghi".
A seguito una frase tratta dal lbro "Demenza digitale": di Manfred Spitzer uno psichiatra tedesco che dirige una clinica per le disintossicazioni per la dipendenza da internet: "Evitate i media digitali, fanno ingrassare, rendono stupidi, soli,malati e infelici. Evitatene l'uso con i bambini, ogni giorno trascorso da un bambino senza media è un giorno guadagnato.
Se voi digitate su Google "demenza digitale" trovate 4.000.000 di voci se lo digitate in inglese trovate invece 6.000.000 di link.
Ora vediamo cosa succede in Corea del sud, un paese notevolmente più avanti rispetto a noi in campo di tecnologie digitali.
In questo paese già dieci anni fa i medici avvertivano del fatto che i ragazzi che utilizzavano massicciamente queste tecnologie si evidenziavano molto più disattenti, con ridotta memoria. In questo paese il 12% dei ragazzi sono dipendenti da internet. Un ventitreenne medio ha inviato/ricevuto 250.000 mail e/o sms, trascorso 10.000 ore al cellulare, giocato 5000 ore ai videogiochi, trascorso 3500 ore su Face Book.
Un accenno è d'obbligo ai videogame violenti, spesso quando partecipo a questi convegni c'è sempre qualche genitore che chiede come controbattere la tesi del figlio sul fatto che su internet vi sono molteplici articoli che dichiarano che i videogiochi violenti non aumentano l'aggressività, in risposta possiamo dire che esiste una grande quantità di libri che dichiarano la pericolosità dei videogiochi violenti, in ogni caso basterebbe che la madre indagasse su chi è colui che ha scritto l'articolo in difesa di questi videogiochi e se a sua volta ha citato o viene citato da altre fonti bibliografiche. Un genitore dovrebbe informarsi leggendo articoli pro e contro per potersi fare un propria idea, scoprire assieme al figlio le bufale che girano su internet per imparare a non bere tutto quello che la rete ci propina.
A proposito di Face Book, l'inventore di questo social network Mark Zucchemberg scrive, "le torte di compleanno sono fatte dagli uomini per stare assieme e divertirsi, mangiarne troppe fa male, Face Book è come una torta di compleanno"
Voglio personalmente dare un consiglio a quei giovani che mettono in rete di tutto, attenzione perché quando cercheranno di entrare nel mondo del lavoro e faranno i loro colloqui chi dovrà assumere questi ragazzi una delle prime cose che fa è andare a controllare i social network, e se su questi troveranno cose più o meno discutibili forse quel posto di lavoro sarà a lui negato.
Internet è una potentissima fonte di informazione e la divulgazione delle notizie è cosa che non sempre viene apprezzata e approvata dai governi. Ad esempio il governo cinese filtra tutte le notizie disponibili per l'utente finale onde impedire che l'internauta possa leggere notizie sgradite al governo. Classico esempio è l'impossibilità di visualizzare qualunque notizia in merito agli eventi di piazza Tien Ammen da parte di chi abita entro i confini della Cina.
Il modo di pensare attuale è notevolmente cambiato rispetto alle generazioni precedenti. Con Aristotele e con i greci abbiamo imparato a ragionare in modo sequenziale cioè da A a B e da B a C (homo sapiens), l'homo videns, per intenderci quello che passa le sue ore libere davanti al televisore, ragiona nel medesimo modo ma l'homo digitalis, quello che passa la maggior parte del suo tempo davanti ad un terminale, ragiona in modo in modo simultaneo il cosiddetto multitasking, cioè perennemente connesso in simultanea con computer, smartphone, televisore, tablet, il problema di questa intelligenza simultanea è che cozza con la capacità della nostra mente di trattenere grandi quantità di dati diversificati ricevuti in simultanea.
Mentre, antecedentemente all'era digitale il lettore poteva essere paragonato ad un sommozzatore delle parole, ovvero il lettore andava in profondità ora i nuovi lettori digitali navigano ad altissima velocità sulla superficie del'informazione.
Vi ricordo che abbiamo due tipi di memoria, una memoria a breve termine che possiamo definire il nostro block notes, e una memoria a lungo termine, quello che possiamo considerare il nostro archivio.
Ci sono studi che dicono che la memoria a breve termine può contenere 7 più/meno 2 informazioni non di più, solo se queste informazioni rimangono nella memoria a breve termine per almeno un ora riescono poi a passare nell'archivio, con il sistema multitasking questo si perde.
Seneca diceva "essere in tutti i luoghi equivale ad essere in nessun luogo", quindi sorvolare una moltitudine di informazioni equivale a non trattenere nessuna informazione.
Su 3000 persone intervistate, l'87% degli over 50 ricorda senza problemi la data di compleanno di almeno tre componenti della famiglia, sullo stesso compito grosse difficoltà si rilevano sugli under 30, aiutati dagli avvertimenti che ricevono su cellulare o su social network.
Il cervello funziona alla stessa stregua di un muscolo, se viene allenato si potenzia se non viene allenato si atrofizza.
Gli studi fatti evidenziano che le nuove generazioni, a causa di un abuso nell'uso delle nuove tecnologie digitali, sta perdendo in capacità di memorizzazione e concentrazione.
Sono state, ad oggi codificate, 42 tipi diversi di dipendenze dalla rete, che vanno dai disturbi degli impulsi all'effetto di una vera e propria droga che genera dipendenza. Vi sono soggetti che rimangono collegati per una media di 38 ore settimanali alla rete, sviluppando tolleranza e astinenza, come una droga.
La tolleranza e quell'adattamento fisico che mi costringe ad usare una maggiore quantità di sostanza per ottenerne il medesimo effetto, l'astinenza sono i sintomi/disturbi che si presentano al momento che privo il corpo di quella sostanza. Tutto ciò succede anche a chi abusa della rete, i soggetti a rischio sono le persone con un'età compresa tra i 15 e i 40 anni.
C'è un fenomeno chiamato "trans dissociativa da videoterminale", è questo un fenomeno psicopatologico correlato all'utilizzo smodato della rete ed alle tecnologie percettive, è caratterizzato da alterazione dello stato di coscienza, depersonalizzazione e perdita dell'abituale identità personale è causato da dipendenza patologica da computer e dalle sue applicazioni.
Tra i disturbi possiamo annoverare anche "l'apnea da mail", ovvero la sospensione dell'atto respiratorio durante la lettura di un messaggio. Altra sindrome è quella chiamata con un acronimo FOMO (the fear of missing out), ovvero la paura di essere tagliati fuori, l'ansia di essere sempre connessi, di ricevere sempre e comunque informazioni da ogni parte.
Secondo una ricerca fatta dall'Associazione Nazionale di Pediatria:
• il 53% dei bambini che navigano su internet lo fanno fuori dalla supervisione degli adulti;
• il 52% frequenta abitualmente le chat line;
• il 33% non chatta solo con i coetanei;
• il 66% vorrebbe incontrare le persone con cui chatta.
Attenzione a quest'ultimo punto perché questo è veramente molto rischioso, per cui è necessario che i genitori siano presenti e/o che controllino con chi comunicano i propri figli.
Generalmente sono le mamme che conoscono la percentuale maggiore delle password dei figli.
Sia gli studenti dei licei che dei tecnici usano la rete allo stesso modo, ma quelli che sono più a rischio sono percentualmente gli studenti dei licei.
Gli abusi mediatici rappresentano la risposta maschile ai disturbi del comportamento alimentare, se l'anoressia ha una percentuale di 9 a 1 ragazze/ragazzi, l'abuso mediatico è prevalentemente maschile.
L'uso del cellulare accomuna in modo abbastanza simile ragazzi e ragazze, tutti gli altri media vedono una sovra rappresentazione dell'utenza maschile.
In Italia l'80% delle persone utilizza il cellulare, a fronte del 78% della Germania e un po' meno della Francia. In Africa ci sono più cellulari che acqua potabile e servizi igienici. In Giappone tutto viene fatto con il cellulare, i tre best seller più popolari in questo momento in questo paese sono stati scritti da ragazzine dal cellulare, quindi con i caratteri del cellulare e i contenuti del cellulare.
Come abbiamo visto la dipendenza del terzo millennio è la dipendenza mediatica, parafrasando una nota frase di Carl Marx possiamo dire che oggi "Internet è l'oppio dei popoli".
I ragazzi di oggi si esprimono attraverso gli "emoticons", faccina che ride, faccina che piange, faccina con un grande sorriso, ecc., danno l'impressione di essere degli analfabeti emozionali.
Il 71% della popolazione è al di sotto della capacità di comprensione di un testo di media difficoltà.
In Italia:
• il 5% della popolazione è analfabeta;
• il 33% naviga sulla soglia dell'analfabetismo;
• il 33% fatica a comprendere un articolo di giornale;
• il 40% delle persone tra i 25 e i 35 anni ha un diploma, a fronte del 90% dei tedeschi e dell'80% degli inglesi
• la scuola elementare italiana è al 7o posto su 15, la scuola media 11a su 17 e siamo ultimi per quanto riguarda i licei. I nostri insegnanti sono tra le categorie più a rischio di sviluppo di patologie psichiatriche per "burnout".
Internet sta consolidando sempre di più il suo ruolo centrale nella socializzazione dei ragazzi, affiancandosi a pieno titolo ad agenzie tradizionali come la famiglia e la scuola (circa un terzo dei ragazzi ha instaurato nuovi rapporti di amicizia attraverso internet).
Twitter è diventato la piazza del paese, Google la biblioteca, Face Book l'album di famiglia.
Ora due parole sul bullismo omofobico.
Consideriamo il fatto che il 5% della popolazione potrebbe potenzialmente essere omosessuale. Queste persone hanno il 25% in più di probabilità di subire attacchi di bullismo o di cyber bullismo.
• Il 22% compie cyber bullismo per vendetta;
• Il 18,7% dichiara che la vittima ha meritato questo trattamento;
• Il 10,6% dice che lo fa per puro divertimento
La necessità di esposizione mediatica crea continuamente nuove modalità non sempre accettabili per mettersi in mostra. Negli stati uniti sta andando di moda una pratica per cui i ragazzi si incontrano fuori di scuola, si pestano e successivamente postano i filmati in rete, in Italia si preferisce compiere atti vandalici al patrimoni comune e poi metterlo sul Web.
Foto e video sono quelli che hanno maggior impatto sulle vittime.
Bullismo e cyber bullismo si evidenziano come due fenomeni estremamente diversi.
Il bullismo tradizionale avviene negli ambienti sociali comuni come scuola, strada, parco giochi, ecc., ma il ragazzo, una volta giunto a casa si sente protetto, nel cyber bullismo questa protezione salta, una volta che entra in camera ed accende internet può continuare la vessazione. A differenza del bullismo tradizionale ove il bullo è conosciuto da tutti, nel cyber bullismo il bullo è per lo più sconosciuto. Il bullo virtuale tende a fare cose che non avrebbe il coraggio di fare nella vita reale se non avesse la maschera virtuale, il bullo tradizionale al contrario acquista prestigio nel mostrare pubblicamente le sue prepotenze. Il cyber bullo non ha coscienza degli effetti delle sue azioni in quanto non vede il bullizzato. Questo è molto importante in quanto non vedendo la sofferenza generata nella persona, non scattano i naturali blocchi inibitori tendenti a facilitare l'arresto del comportamento vessatorio.
Nel bullismo virtuale possiamo assistere anche processi di "depersonalizzazione", in questo caso le conseguenze delle proprie azioni vengono date all'avatar del cybernauta.
Altra cosa è il comportamento del bullo tradizionale che tende a "deresponsabilizzarsi" minimizzando l'azione commessa (ex. Infin dei conti gli ho dato solo un ceffone, ... infondo lo fanno tutti, ...).
Nel caso del bullismo virtuale, anche la vittima del bullo della vita reale, può diventare un cyber bullo, anche nei confronti del bullo tradizionale in una nuova forma di vendetta.
Nel caso del cyber bullismo gli spettatori possono essere passivi o attivi partecipando alle prepotenze virtuali.
Quindi nel cyber bullismo ci troviamo di fronte a dei meccanismi molto particolari che sono l'anonimato, il disimpegno morale, la depersonalizzazionee  la deumanizzazione.
Ora una accenno ad una civiltà a noi lontana che è quella giapponese.
In Giappone in questi ultimi anni si è assistito alla nascita di un fenomeno preoccupante e tra l'altro in forte aumento. Si tratta degli "hikikomori" letteralmente stare i disparte,  isolarsi. Occorre tener presente che il Giappone è una società particolarissima ove è estremamente importante quello che la gente pensa e siccome tutto il Giappone passa attraverso esami; esami per l'ammissione all'asilo, esami per l'ammissione alle elementari, ecc., se uno non supera uno di questi prova un senso di vergogna che non è tollerabile per la famiglia. Quindi molto spesso questi ragazzi, a causa di eventi di bullismo, o perché non riescono a passare un esame, si isolano nella propria camera e non escono più per anni.
Ad oggi si conta che in Giappone ci siano circa 100.000 ragazzi in questa situazione.  Rimangono in contatto con il mondo esterno mediante un computer, non per comunicare ma solo per vedere, mangiano quello che i genitori gli lasciano dietro la porta o escono solo di notte per comprarsi qualcosa nei numerosi negozi aperti giorno e notte.
Un solo accenno sul gioco d'azzardo online, Attenzione perché è un problema in aumento esponenziale che sta colpendo oggi anche molti adolescenti.
Profilo tipo del giovane giocatore: ragazzo anche dodicenne maschio, invogliato da una grossa vincita iniziale, ha la tendenza a giocare da solo. Si sente depresso prima di iniziare ma è fortemente eccitato durante il gioco, ha una scarsa autostima, scarso rendimento scolastico, spesso al gioco somma altre dipendenze come alcool, sigarette, o altre sostanze psicotrope, generalmente appartenente ad una fascia sociale debole.
In Italia ci sono attive 450.000 slot machine, circa 50.000 video lottery a cui aggiungere  le varie lotterie come i gratta e vinci, enalotto, super enalotto e altri numerosissimi giochi d'azzardo online. In Italia abbiamo una macchinetta mangiasoldi ogni 150 abitanti, è la terza industria dopo la Fiat e l'ENI. Il nostro paese è al quarto posto al mondo, dopo Stati Uniti, Giappone e Macao in Cina, per la spesa fatta su videogiochi o giochi online.
Ci sono circa 2.000.000 di persone a rischio e 800.000 dipendenti, i cosiddetti affetti da ludopatia.
È una piaga che colpisce soprattutto chi è povero, è una vera e propria tassa sula povertà.
Concludo con una frase sulla coerenza di S. Ignazio di Antiochia terzo vescovo di Antiochia in Siria, vissuto tra il 37 e il 135 d.c,:
"Si educa molto con quello che si dice,ancor di più con quello che si f, molto di più con quello che si è"

Dott. Maurizio Saravalli
Pedagogista clinico - Reflector®
Moderatore
Riprendo l'ultima frase del Dott. Fanos per porre la necessaria importanza sulla parola coerenza:
"Si educa molto con quello che si dice,ancor di più con quello che si fa, molto di più con quello che si è".
È una situazione abbastanza abituale per me essere presente a corsi di aggiornamento di vario tipo o convegni, la cosa più triste di questi eventi e l'assistere, ben prima della fine dell'evento ad un costante ma continuo esodo verso l'uscita dei partecipanti, se poi l'evento è accreditato l'esodo ha inizio poco prima della distribuzione del preziosissimo attestato, potrei dire senza alcun rispetto per l'ultimo relatore.
Come possiamo chiedere ai nostri figli di permanere composti in un aula per 5-8 ore, 6 giorni alla settimana per tutto il periodo della loro giovinezza, quando noi stessi non siamo in grado di seguire nella sua completezza un singolo sporadico  evento?

Ora vorrei avviarmi verso la conclusione di questo nostro incontro accennando ad alcune accortezze, non consigli, ma semplici segnalazioni di cose sul quale come adulti e come genitori porre un minimo di attenzione.
Il No con il bambino: Recentemente una signora mi ha chiesto se avevo letto e cosa ne pensassi del libro "I No che aiutano a crescere", risposi di averlo letto e di considerarlo, ne più ne meno, una buona lettura, ... i bambini non sono tutti uguali e quel testo non è da considerarsi un manuale.
I NO sono estremamente importanti, in quanto  rappresentano i paletti di una cultura che abbiamo interiorizzato da piccoli noi che ora siamo adulti educatori e/o genitori. I No devono essere sempre spiegati, avvero a seguito del NO deve essere data la motivazione del rifiuto. Una spiegazione logica, comprensibile ed interiorizzabile. Il No non deve però essere sempre un qualcosa di assoluto, ovvero una volta discussa la richiesta potrebbe essere anche il caso che il genitore, che ha posto inizialmente il rifiuto possa cambiare il suo No in un Si. In questo modo diamo al bambino la possibilità di sentirsi importante in quanto capace di modificare una situazione. Il bambino in grado di far trasformare un No in un Si percepisce in lui la capacità di far cambiare un'opinione. Il No assoluto dice, all'opposto, tu non conti nulla, la mia opinione è incontrovertibile.
Nell'atto educativo il bambino deve capire che la sua opinione conta, che lui "È".

Il contratto: sia nello sport che nelle attività didattiche agli inizi, quando tutto è nuovo e ludico, le cose sono considerate piacevoli poi, man in mano che passa il tempo il tecnico, l'educatore, l'insegnante iniziano a chiedere prestazioni di maggior importanza e qui molto spesso si evidenziano i problemi. Il bambino, aiutato a superare i vari ostacoli che la vita gli pone dinnanzi si auto educa a porsi degli obbiettivi, dal facile a difficile e poi a raggiungerli, ma se non supportato a dovere dai genitori o dagli insegnanti stessi il fanciullo inizia a vivere le prime difficoltà come frustranti, a questo punto la cosa più semplice diventa il ritiro.
Ora non è che una volta scelta una cosa il bambino/ragazzo ha l'obbligo di farla vita natural durante, ma assieme all'adesione dell'attività si decide anche per quanto tempo minimo permanere.
I nostri ragazzi hanno paura delle prestazioni che devono dimostrare ai noi adulti. Devono essere i migliori, primeggiare perché noi adulti abbiamo insegnato loro che a questo mondo vale solo chi sale sul podio. Le nuove generazioni evidenziano uno stato reattivo che ho chiamato "La politica del disimpegno" ovvero al momento dell'impegno richiesto non applico tutte le mie energie in quanto se lo faccio e fallisco ho la conferma della mia inadeguatezza, quindi preferisco tenermi un margine di sicurezza per poi pensare che se mi fossi impegnato di più avrei avuto la possibilità di ottenere il risultato sperato.

La scelta scolastica: negli ultimi anni ho sentito più di un politico criticare la scelta di ragazzi che hanno optato per indirizzi di studio considerati poco appetibili nel modo del lavoro, una per tutte è la facoltà di "scienze della comunicazione".
Come se fosse la facoltà a garantirci il lavoro o la disoccupazione. Può anche essere, a questo punto mi sovviene una domanda: Noi mandiamo i nostri figli ad una scuola perché da questa ricevano un attestato che permetta loro di trovare un lavoro, o li lasciamo frequentare un ambiente educativo che gli dia degli strumenti utili per fare ciò che lui vorrà essere da grande?
Ma per sapere cosa si vuol fare da grande serve capacità progettuale e di fantasizzazione, cosa che non abbiamo sviluppato nei nostri figli. I nostri figli non sanno più sognare cosa vorranno essere da grandi. Vivono la giornata e vivono alla giornata. Oggi i bambini non vengono "educati" ovvero dal termine exducere tirare fuori, in altre parole stimolati ad esprimere ed esaltare le loro caratteristiche, oggi i nostri bambini vengono addestrati, si forniscono a loro una moltitudine di dati, indipendentemente dalle loro capacità di elaborazione e/o utilizzo. Potrei dire che li carichiamo di dati come si fa con un computer. Ma il bambino non è un computer, deve vivere ciò che lo educa perché questo possa servire a qualcosa.

Termino con alcuni richiami presi dall'intervento precedente:
Face Book, attenzione, i profili di questo social network molto spesso sono aperti, ovvero tutti o quasi possono vedere le cose da tutti pubblicate. Gli adulti molto spesso usano questo strumento come sfogatoio, postando di tutto, molto spesso satira politica, ma ancor più spesso immagini cruente a denuncia di atti contro la persona o gli animali, vengono postati scherzi anche di cattivo gusto o, come accennava prima il Dott. Fanos, si postano nomination che inducono a compiere atti pericolosi per se e per glia altri.
Il soggetto adulto, che si approccia a questo potentissimo strumento di comunicazione globale,  deve rendersi conto che mette se stesso alla finestra e tutto ciò che pubblica ha valore educativo (sia in positivo che in negativo).
Ogni volta che postiamo qualcosa su un social network, ma a questo punto ribadisco, ogni volta che dichiariamo qualcosa, ogni volta che ci relazioniamo con un minore, facciamoci sempre le due domande che dall'inizio del convegno continuo a ripetere:
• Cosa faccio
• Perché

Organizzatore dell'evento
Dott. Maurizio Saravalli
Dott. Scienze dell'Educazione
Pedagogista Clinico
Reflector®
Tecnico FSN-FIJLKAM
Tecnico FSN-FIPE
Tecnico EPS ADO-UISP



ORA BASTA
... GIÙ LE MANI DAI BAMBINI ...
ALLA SANITÀ LA PATOLOGIA, ALLA SCUOLA L'EDUCAZIONE.

Premessa 1) LO  ammetto, le mie elucubrazioni sono di parte, possono essere intese come i lamenti di un pedagogista che ha paura della concorrenza, di chi teme di vedersi togliere il cliente da un'altra categoria di professionisti  legalmente autoreferenziale ..... ok pensatela come vi pare ma, a mio avviso, quando si esagera qualcuno deve far sentire il suo dissenso.
Premessa 2)
il latore della presente ha un grandissimo rispetto e da grandissima importanza al sistema sanitario e all'evoluzione scientifica della farmacologia di questi anni, in quanto da questi salvato dopo una diagnosi di patologia importante.
Ma, come dicevo  ....  a volte si esagera e il troppo storpia.
In un mondiale sistema comunicativo, ove i mas media per aumentare l'audience esaltano in modo massivo  i grandi dubbi, le ansie, le generali fibrillazioni politico economiche, le guerre, le nuove pestilenze, ecc., ecc. il sistema sanitario e quello farmaceutico trovano pane, burro e marmellata per le loro economie.
Vogliamo evidenziarlo meglio?
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le trasmissioni che parlano, in modo contrapposto, di cibo e di salute, di necessità di maggior produttività e del come liberarsi da un sistema di vita stressante. Ad un programma televisivo sulle nuove ricette internazionali o sui piatti locali ne segue uno che apre un dibattito sull'aumento del diabete e colesterolo, ad un altro che mostra le prodezze alimentari di un coraggioso guerriero che affronta i cibi più impensabili ne segue una che mostra come mantenersi in forma perdendo sette chili in sette giorni. Il corollario si completa con le più svariate proposte delle case farmaceutiche. Il sistema sociale crea le patologie, il sistema commercial sanitario farmaceutico offre le soluzioni. Il 30% delle offerte pubblicitarie riguardano antidolorifici, anti infiammatori, antigastrici; prodotti per perdere peso "mangiando" o per andare al bagno più spesso; creme per sviluppare masse muscolari, per eliminare le rughe, per i pruriti intimi; integratori per rallentare l'invecchiamento, per incrementare le prestazioni sportive o mentali, per trasformare il cibo in energia (?); chirurghi in grado di trasformarti esteriormente nella Barbie o in Big Jim, in grado di succhiarti ettolitri di grasso dai glutei, di restringere stomaci di persone mentalmente non in grado di smettere di riempirli. Un prodotto per ogni esigenza nell'apoteosi  di quell'umanità che compone la civiltà del moderno benessere  e non del ben-essere.
In questa cacofonia delirante di psicocultura della gestione al'americana dell'immagine apparente della propria persona, lentamente ma inesorabilmente stiamo offrendo anche i nostri bambini all'orco della sanificazione e normalizzazione a pagamento.
Non molti mesi fa lanciai un allarme sull'americanizzazione di certi comportamenti con il rischio, poi confermato, di ripercorrere gli stessi errori.
Facciamo un esempio diretto, fino a non molti lustri fa, per intenderci quando le mamme e papà non passeggiavano con i figlioletti tutti con in mano uno smartphone, l'acronimo ADHD poteva al massimo essere preso per un'esclamazione dialettale di stupore. I nostri  figli non avevano "Sindromi da ipercinesi con difficoltà di concentrazione" ma, giocando nei campetti oratoriali, rubando le ciliege nei giardini dei vicini o scorrazzando liberamente in bicicletta per le golene dei fiumi o per le vie del paese erano semplicemente vivaci e con poca voglia di stare seduti 4 ore sui banchi di scuola (non 6 o 8 come sono costretti oggi a cui si aggiungono altrettante ore di TV o Video Game), all'epoca la maestra/o non entrava in crisi se uno o più fanciulli si mostravano irrequieti, evidenziando un mixer i autorità e autorevolezza ti dava, a volte uno scopaccione se il tuo "comportamento problema" (come viene oggi definito dagli esperti della patologicizzazione),  era eccessivamente insistente o rischioso per l'incolumità propria o altrui, e se il papà lo sapeva te ne dava altri due, il bambino non si traumatizzava aveva capito ... ma continuava a fare il bambino, genitori ed insegnanti si lasciavano dicendo "prima o poi crescerà".
Oggi i "sindromici" ovvero i vivaci patologici si sono improvvisamente moltiplicati all'ennesima potenza e, per tutta risposta, sulla scia di una fallimentare cultura educativa americana, anche da noi la neuropsichiatria, alla quale abbiamo portato la nostra bambina terribile, consiglia l'utilizzo di un famoso psicofarmaco.
Basterebbe solo che l'esimio medico, se fosse veramente interessato alla salute del fanciullo, leggesse le statistiche di quanto causato negli USA negli ultimi decenni, non solo non lo "consiglierebbe" ma  straccerebbe addirittura la pagina ove è riportato dal prontuario farmacologico in suo possesso.
Quanto ora riportato non è frutto di racconti di seconda mano, ma diretta esperienza vissuta, non molti mesi fa ho avuto modo di valutare una bambina di 6 anni considerata ingestibile, a mio avviso semplicemente vivace e per di più molto meno di tante altre situazioni vissute, a cui la neuropsichiatra aveva consigliato l'uso dello psicofarmaco per "aumentarne la capacità di concentrazione". Evito in questo luogo di riportare i miei epiteti comunicanti il mio disappunto.

Negli ultimi giorni vedo, in modo sempre più pervasivo in televisione, uno spot pubblicitario che vorrebbe far intendere la necessità della presenza di figure psicologiche nella scuola per un miglio benessere del bambino.
NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO, ribadisco NOOOOOOOOOOOOOO
Alla sanità va l'incombenza di "CURARE LA SITUAZIONE PATOLOGICA" quindi lo psicologo troverà naturale intervenire in quell'opportuno luogo che è il proprio studio o in un studio ospedaliero su quei soggetti che evidenziano veri stati di disagio, alla scuola va il compito di educare quindi deve essere potenziata di educatori, insegnati professionalmente preparati (non ingegneri riciclati) e pedagogisti, si proprio pedagogisti quella strana categoria che si occupa di filosofie e strategie educative, che cercano metodi per aiutare il ragazzo ad apprendere senza considerare le sue difficoltà un "disturbo".
Comprendo che in periodo di crisi economica ogni lavoro è buono, che in assenza di spazzi per curare schizzofrenici, tossicodipendenti, depressi, bipolari, ecc., ecc. vada bene anche il bambino disgrafico e/o vivace, ma evitiamo di avviare il fanciullo ad una considerazione patologica di se e del Sè.
N.B., ho sentito recentemente di una psicologa che si è offerta di fare uno screening sugli studenti di un plesso scolastico, stranamente a consuntivo si è rilevato una percentuale molto elevata di soggetti necessitanti di aiuto o supporto, coincidenza? Può darsi anche se  Adam Kadmon, conduttore della trasmissione "Mistero" avrebbe qualche dubbio.
Se proprio volete rendervi utili affiancate gli insegnanti e sosteneteli nel loro difficile compito di gestire la propria emotività in classe, cercate di aiutarli ad essere flessibili nel loro modo di insegnare, cercate di far capire loro come comprendere le esigenze emotive dei ragazzi che hanno di fronte. Insegnate a questa categoria professionale a capire come leggere le esigenze del ragazzo, come interpretare i segnali comportamentali che evidenziano (potrebbero essere richieste d'aiuto). Un ragazzo non si apre spontaneamente davanti al dottore strizza cervelli,  ma davanti ad un insegnante comprensivo, autorevole ed affettivamente partecipe si.
Ahh scusate dimenticavo, il personale docente rifiuta l'affiancamento di altre figure professionali, sa già tutto e non necessita di alcun supporto, mentre i nostri ragazzi non possono apporre alcun rifiuto, anzi è loro dovere collaborare sempre dovunque e comunque, pena la stigmatizzazione del fanciullo ed il conseguente rischio che venga categorizzato come soggetto "patologico".
Ribadisco
ALLA SANITÀ GIÙ LE MANI DAI NOSTRI BAMBINI E POTENZIAMO IL VERO SISTEMA EDUCATIVO


ADHD Il bambino terribile.

Introduzione
Categorizzare una persona, soprattutto se questa persona è un bambino, è la premessa per una sua potenziale futura collocazione in un particolare contesto sociale.
Al di la di un effetto Pigmalione o Rosenthal dir si voglia, è noto a tutti l'adagio “non vi è mai una seconda occasione per fare una prima buona impressione”.
Chi, per motivi professionali e/o sociali, ha la facoltà o la possibiltà di categorizzare in modo più o meno ufficiale un individuo in un determinato modo tenderà sempre ad osservarlo e a mettere altri in condizione di valutarlo, guardandolo attraverso un filtro di riferimento che porterà a confermare, più che a falsificare le ipotesi iniziali. Se ad esempio un insegnate crede, o gli vien fatto credere da un altro soggetto considerato di fiducia, che un bambino sia caratterizzato dal punto di vista cognitivo di particolari deficit o dal punto di vista caratteriale come particolarmente irrequieto tratterà inconsciamente il bambino in modo da veder confermate gli pseudo dati di partenza.
Speso e in buona fede, si assiste a veri propri passaggi di consegne tra insegnanti della scuola dell'infanzia e insegnanti scuola primaria stessa cosa dicasi tra insegnanti della primaria con quelli della secondaria. Questi momenti di incontro dovrebbero permettere ai docenti di acquisire informazioni utili, se non a volte veramente necessarie, per un migliore approccio nei confronti di nuovi e sconosciuti studenti, questo con lo scopo primario di massimizzare il lavoro che si andrà a svolgere in ambito scolastico, spesso però questo scambio informativo risulta essere il modo più efficace per mantenere il soggetto in una particolare categoria, riducendo sempre più le possibilità alla persona inserita in uno specifico contenitore sociale di percepirsi e di percepire il proprio futuro diversamente da quanto gli è stato prospettato.
Dall'altra parte il bambino, ma alla stessa stregua può trattarsi anche di un adulto categorizzato, sarà indotto ad interiorizzare lo specifico giudizio a lui assegnato tendendo, anch'esso in modo inconscio, ad assumere un comportamento in linea con le aspettative del categorizzatore, andando di conseguenza a rinforzare sempre più la sua posizione in quello specifico contenitore sociale nel quale è stato messo.
Ora, questo circolo vizioso, può risultare quanto mai di effetto positivo quando il soggetto viene inizialmente descritto con aggettivi che tenderanno ad enfatizzare caratteristiche ritenute, nell'ambiente sociale vissuto, come accettate ed accettabili il problema sussiste quando la persona inizia ad essere inserita in bolle sociali che indicano il possesso di caratteristiche negative.
Lo stesso effetto pigmalione, tendente a portare il soggetto a divenire ciò che il mondo aveva pensato di lui e per lui sarà, il propulsore in grado di facilitare al successo nel primo caso quanto uno strumento potenzialmente deleterio nel secondo.
Tra le varie categorizzazioni le più importanti sono ovviamente quelle che vengono certificate dall'onnipotente servizio sanitario. Questo indispensabile strumento di benessere sociale è in grado di costruire celle di riferimento che persevereranno incorruttibili negli anni a venire della persona da esso catalogata, seguendola ovunque essa vada.
Il Dislessico o il semplicemente certificato “proprietario” di un Disturbo Specifico di Apprendimento (per lo slang odierno ADHD), sarà un soggetto con oggettive difficoltà ad evidenziare le proprie potenzialità anche cognitive, in quanto analizzato con davanti l'onnipresente filtro della in-competenza.
Il disturbo più inquietante che andiamo ad analizzare di seguito è quello che porta la terrificante sigla ADHD, il terrore di ogni genitore e/o educatore di qualsiasi genere (scolastico, sportivo, sociale, ecc.)

Premessa

Secondo il DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) ovvero il libro sacro di tutti coloro che lavorano nell'ambito del disagio della psiche, il "Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività, per gli amici ADHD, è un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato, da inattenzione, impulsività e iperattività.
Nello specifico, il DSM IV distingue tre forme cliniche:
• inattentiva;
• iperattiva;
• combinata.
Nel corso dello sviluppo, lo stesso soggetto può evolvere da una categoria all’altra manifestando nelle varie fasi d’età le tre differenti dimensioni psicopatologiche in modo variabile.
Penso che sia per tutti "chiaro "che in questa sede non si parla di bambini e ragazzi semplicemente "vivaci" o "notevolmente vivaci", stiamo ovviamente parlando di soggetti presentati un disagio grave nell'ambito del controllo e della capacità di direzionare e mantenere la propria attenzione nell'attività praticata, in sostanza parliamo di soggetti che presentano un'assoluta incapacità di focalizzare e mantenere la propria mente sul bersaglio per tempi sufficientemente lunghi da permettere il suo raggiungimento, a cui si aggiunge un'assoluta impossibilità di "pre-vedere" la possibile consequenzialità e potenziali conseguenze di eventi da loro attivati con le loro azioni.
Sono questi bambini e ragazzi che, al di la di potenziali difficoltà negli apprendimenti in ambito scolastico o nel raggiungimento di un qualsiasi obbiettivo personale degno di nota, possono risultare potenzialmente pericolosi per la propria ed altrui incolumità.
È comprensibile, quanto un disagio di questo tipo, possa generare a cascata stati di vera e propria ansia in tutto quel mondo che, in modo diretto o indiretto, satellita attorno alla vita del soggetto:
• genitori;
• insegnati;
• personale non docente;
• eventuale referenti educativi appartenenti agli ambienti ludico formativi frequentati al di fuori degli ambienti scolastici, come tecnici sportivi, catechisti, animatori di centri ricreativi;
• ecc.
I genitori di questi piccoli terremoti oltretutto devono affrontare un problema aggiuntivo ovvero, l'isolamento sociale da parte del gruppo dei pari, diretta conseguenza dell'incapacità fisiologica di gestire il figlio in situazioni aggregative.
La cosa che più preoccupa, almeno leggendo alcuni degli ultimi dati provenienti da quei paesi ove il problema viene seguito con più attenzione, Stati Uniti in testa, è che questa forma di disagio sembra essere in costante aumento. Negli USA si registra, un incremento dei casi pari al 30% in un decennio. Da alcune ricerche fatte si è rilevato che, mentre nel 1998 i bambini americani certificati come iperattivi (ADHD), erano poco meno del 7%, nel 2008 la percentuale è salita al 9%.
I ricercatori non hanno o non danno spiegazioni sul motivo di tale crescita esplosiva.
La prima ipotesi, in merito a questo preoccupante aumento, è che i dati potrebbero risentire della maggior capacità, da parte degli enti sanitari preposti, di fare una simile diagnosi a valle di controlli eseguiti attenendosi scrupolosamente alle procedure in vigore, più che da un reale incremento del numero di persone soggette al disturbo oppure, e questo è un mio sospetto, ad una più bassa soglia di tolleranza dell'ambiente sociale che ruota attorno a questi bambini.
La successiva conseguenza di questo dato consiste nel fatto che, considerando questa forma di disagio un problema da risolvere, se non una patologia da curare (l'utilizzo del termine dipende dalla professione dell'esperto interpellato per entrare in aiuto al soggetto), vi è la ricerca di una tipologia adeguata di stimoli di aiuto o di farmaci, la soluzione utilizzata dipende sempre dalla professione dell'esperto interpellato per tentare di risolvere il problema del ragazzo/a.
Ora, giudico la categorizzazione di una persona troppo importante per limitarne la visione ad un giudizio/diagnosi emessa solamente da una equipe di seppur bravi professionisti del settore sanitario.
A mio avviso l'argomento merita una discussione ben più approfondita ed articolata che tenga conto di tanti diversi parametri argomentativi presi da diversi angoli di visione del problema.
Il bambino o ragazzo come tutti gli esseri umani di questo pianeta è un essere sociale che nasce e vive in determinati tempi e luoghi, è immerso in policromatici ambienti aggregativi formati da una miriade di altre persone, ogn'una con una propria particolare storia, personalità e cultura, il tutto in un mondo in continua evoluzione.
La vita di noi tutti e dei bambini in particolare, si è notevolmente trasformata negli ultimi decenni, soprattutto in quei paesi che hanno visto una veloce evoluzione del loro sistema tecnico, industriale ed economico. Evoluzione che ha indotto nelle popolazioni un'accelerazione dei ritmi di vita, di assimilazione e metabolizzazione delle nuove scoperte tecnico scientifiche e che, al contempo, ha limitato soprattutto ai più piccoli lo spazio tempo di conoscenza di se e del sé (non fate la lotta che vi fate “male”, non sudare che prendi del “male”, non correre che cadi e ti fai “male”).
Stiamo parlando degli abitanti dei cosiddetti paesi ricchi e oppulenti, appartenenti alla fascia occidentale di quella sfera chiamata Terra.
Parliamo di persone che vivono e al contempo mal sopportano la freneticità del loro steso sistema di vita.
Di seguito analizzeremo in modo approfondito i singoli soggetti protagonisti di questa particolare disamina:
1) l'ambiente sociale di riferimento
2) il bambino, ovvero il carnefice ma al contempo la vittima di questa situazione.
3) la famiglia primaria, ovvero coloro che subiscono, ma al contempo rinforzano l'atteggiamento comportamentale del bambino.
4) le figure educative che ruotano attorno al bambino, anch'esse portatrici di regole

1) L'ambiente fisico e sociale di riferimento.

In questo momento mi sovviene il ricordo di un'immagine postata da alcune persone su un social network, sull'immagine sono ritratti alcuni ragazzini, presumibilmente appartenenti ad un anonimo villaggio africano che seminudi sono rivolti verso una sconfinata pianura. Sopra la testa di uno dei ragazzini un fumetto contiene la seguente frase:
“I bambini in America devono stare 8 ore seduti in classe, li drogano se si muovono troppo o se fanno rumore ed il loro divertimento principale è la televisione”
In risposta sopra la testa di un secondo ragazzino è posta una nuvoletta con la seguente frase:
“Ma è orribile dovremmo fare qualcosa per aiutarli”.
Ora, cosa ci comunicano queste due frasi?
Principalmente che i bambini sono bambini. Che il loro compito è di scoprire il mondo esplorandolo fisicamente e che, per fare questo, hanno la necessità primaria di scoprire se stessi … soprattutto in modo fisico.
In pochi decenni l'evoluzione tecnica e lo spostamento di grandi masse, hanno comportato una rapida evoluzione sociale e culturale (che a volte, in alcune situazioni valuto più come involuzione).
Sempre più spesso i nostri bambini esplorano il mondo in modo statico, da una comoda poltrona posizionata di fronte ad uno schermo che, senza soluzione di continuità, vomita loro addosso una cacofonia di suoni, immagini e colori, difficilmente vivibili ed interiorizzabili.
Dov'è finita la naturale scoperta del proprio corpo prestazionale, quel corpo che permetteva di esplorare, vivere e modificare il mondo circostante al ragazzo? Dove è finito il gioco inventato e costruito?
Che fine ha fatto la trasformazione immaginifica della realtà, atto fantastico che permetteva al fanciullo di plasmare la poca materia prima a disposizione per la creazione del nuovo?
Un bastone una molletta un elastico erano il fucile del bambino di ieri, una poltiglia di fango era una torta nelle mani della bambina di ieri. Una lattina vuota tre amici e una strada deserta erano una partita di calcio, un po di stoffa e un po di creta erano una bambola.
Immagini che richiamano tempi antichi? … NO, non sono passati che pochi decenni
La stragrande maggioranza dei genitori ed educatori di oggi possiede un passato ove il gioco era momento di scoperta di se, del sé, del mondo circostante e del rapporto di adattamento che vi era tra se, il sé e il mondo.
Sino a pochi lustri fa l'orario scolastico, in quella che era chiamata in modo meno tecnico ma più espressivo, scuola elementare, terminava alle 12,30. La televisione iniziava le sue trasmissioni con la TV dei ragazzi alle 17,30 o giù di li. Pochi i giocattoli a disposizione. Pochi e non sempre accessibili a tutte le tasche.
Il giocattolo, sempre nuovo e disponibile, si chiamava fantasia (software del game) la parte fisica di quel giocattolo, ovvero la parte che permetteva l'applicazione dei sempre nuovi giochi era il proprio corpo e le sviluppate capacità manipolatorie (hardware del game).
Il bambino sperimentava continuamente i propri limiti scoprendo, spesso sulla propria pelle, quando e di quanto questi limiti erano stati oltrepassati.
Le sbucciature erano all'ordine del giorno. Piccoli trofei da esibire come prova della propria scoperta.
A memoria non ricordo classi stile college inglese da film, con bambini soprammobile e insegnanti che, con tranquillità, trascorrevano quattro ore a trasmettere informazioni. Ricordo bambini calmi e bambini VIVACI, ma soprattutto ricordo adeguati tempi ri-creativi.
Oggi il bambino, fin dalla culla, vive ritmi che oserei dire osceni.
Le pappe ed i riposini scandite da tempistiche appartenenti ad una madre che spesso, anche se in congedo per maternità , ha interiorizzato tempi e ritmi innaturali.
Il bambino cresce apprendendo velocemente che “non c'è tempo da perdere”, rincorre tempi e ritmi di genitori senza più tempo, di insegnanti che devono alle prese con un programma didattico da esaurire come da regolamento, di tecnici sportivi che rincorrono un risultato.
Il leitmotiv che accompagnerà la vita del fanciullo sarà “presto che è tardi”.
Si inizia il mattino di buon ora nella veloce preparazione per la consegna del fardello alla scuola prima del lavoro.
Un veloce distacco, spesso insufficiente a mantenere sotto controllo gli stati d'ansia e, rapidamente, ci si adegua ai ritmi scolastici, dove i tempi ludici, di apprendimento, di interiorizzazione, di socializzazione sono scanditi da adulti.
Questa forma di “addestramento” parte sempre più spesso nei primi mesi di vita con l'inserimento del bambino al nido, un addestramento che proseguirà in alcuni casi per tutta la vita (pensiamo alle strutture per anziani).
La più grande rapina fatta al bambino riguarda il furto del tempo ludico libero, quello che era per tutti il gioco di strada, nei giardini pubblici, negli oratori, nei campi, ecc. oggi spesso sostituito con l'inserimento del fanciullo in ulteriori ambienti strutturati quali le associazioni sportive, le scuole di ballo, musica o quant'altro, ulteriori ambienti gestiti da adulti per scopi appartenenti agli adulti.
Quando, per qualunque motivo non si offre al ragazzo questo tipo di esperienza non rimane come riempitivo che rivolgersi a sua maestà la televisione o al gentil consorte il videogame, strutture queste sempre generate da adulti per scopi adulti architettate in modo da permettere il veloce adattamento ed assuefazione del fanciullo.
Torniamo ora alla frase iniziale utilizzata come spunto di riflessione, “I bambini in America devono stare 8 ore seduti in classe, li drogano se si muovono troppo o se fanno rumore ed il loro divertimento principale è la televisione” e facciamoci ulteriori domande riflessive:
a) solo in America i bambini vivono questa situazione?
b) Dov'è finito il bambino vivace, curioso e creativo, con apprendimento prevalentemente cinestesico?
c) Che tempo e che spazzi dedichiamo ai nostri bambini onde permettere a loro di sperimentare il naturale vissuto psichico, emotivo e FISICO?
d) qual è il limite che divide la naturale vivacità dallo stato patologico?
Poche e semplici domande a cui possiamo dare semplici e rapide risposte:
a) anche l'Europa si è Americanizzata. Anche nel vecchio continente con frequenza sempre più preoccupante si assiste all'offerta di sostanze psicotrope a bambini e ragazzi per “entrare in aiuto al raggiungimento della propria capacità di autogestione”
b) Il bambino VIVACE non esiste più, esiste quello BUONO, BRAVO e UBIDIENTE, ovvero il soggetto gestibile e non generante problemi e l'ADHD, ovvero il bambino patologico, il bambino con sindrome.
c) Sempre meno è lo spazio tempo lasciato alla naturale ludicità del bambino. Primo per mancanza effettiva di spazzi fisici ove poter sperimentare in libertà e relativa sicurezza, secondo per carenza di tempi disponibili da parte di  famiglie semi robotizzate.
d) Il limite tra il VIVACE e il Patologico si trova nelle capacità gestionali delle figure di riferimento (genitori, Insegnanti, ecc.)
A seguito riporto un estratto di alcune conclusioni tratte da una discussione sull'utilizzo di sostanze psicotrope sui bambini con disturbi del comportamento, conclusioni che mi sento di definire preoccupanti per motivi che a seguito accennerò
“I farmaci psicotropi possono rappresentare un aiuto efficace nel trattamento dei disturbi psichici dell'infanzia e dell'adolescenza, purtroppo però i dati relativi alla popolazione pediatrica sono ancora scarsi.
Un valido aiuto nel fornire informazioni più sistematiche sull'utilizzo di farmaci psicotropi nei bambini potrebbe essere rappresentato da due tipi di studi.
In primo luogo studi epidemiologici per documentare, nei giovani pazienti, i diversi tipi di trattamento, la diagnosi, la severità della patologia, la durata della cura e la valutazione degli outcomes clinici (ad esempio il controllo dei sintomi e la presenza di eventi avversi).
In secondo luogo trials clinici randomizzati e controllati per valutare i dosaggi, l'efficacia e la sicurezza di quei prodotti il cui utilizzo risulta essere off-label ma che sono diffusamente impiegati nella corrente pratica clinica.
Per quei disordini che si manifestano molto raramente o per quelle combinazioni discutibili di trattamenti farmacologici per le quali non si conoscono i rischi, un registro potrebbe rappresentare un approccio molto utile.
In generale i medicinali di questa categoria terapeutica, proprio per i loro effetti sul sistema nervoso centrale, devono essere strettamente monitorati, in particolar modo quando i piccoli pazienti iniziano o riprendono un trattamento o quando vengono variati i dosaggi.”
Ora, convengo che “in caso di comprovata necessità” i farmaci psicotropi (come TUTTI i farmaci ) possono rappresentare un aiuto efficace ma … CHI e con quale leggerezza me ne consiglia la somministrazione affermandone l'assoluta necessità per aiutare il mio BAMBINO a meglio gestire la propria “eccessiva” vivacità?
Inquietante è altresì la frase “In secondo luogo trials clinici randomizzati e controllati per valutare i dosaggi, l'efficacia e la sicurezza di quei prodotti il cui utilizzo risulta essere off-label ma che sono diffusamente impiegati nella corrente pratica clinica. Per quei disordini che si manifestano molto raramente o per quelle combinazioni discutibili di trattamenti farmacologici per le quali non si conoscono i rischi, un registro potrebbe rappresentare un approccio molto utile”
Per avere una quantità di dati esaustiva a quanti e per quanto tempo dovremmo fornire tali farmaci?
Ovviamente dovremmo avere una cospicua popolazione di bambini divisa in tre macro gruppi: Il gruppo di controllo, ovvero quello a cui non vengono somministrati farmaci, il gruppo a cui viene somministrato l'effetto placebo, ed il gruppo a cui viene somministrato il farmaco vero e proprio, il tutto ovviamente suddiviso in fasce onde valutarne l'efficacia e gli “effetti collaterali” alle diverse posologie.
E se poi, come oggi sta succedendo negli Stati Uniti, le statistiche ci mostrano come anni di somministrazione di particolari farmaci mettano in evidenza come un'alta percentuale di soggetti accusano nel tempo problematiche più o meno gravi, spesso peggiori “dell'evento patologico” trattato (alta percentuale di suicidi, di uso e abuso di stupefacenti, di soggetti borderline)? Cosa facciamo li formattiamo e tentiamo una nuova cura?
Comunque convengo che è meno faticoso fornire uno psicofarmaco rispetto al progettare e condurre un intervento educativo in grado di coinvolgere bambino, famiglia e sistema educativo.
Molto più facile la somministrazione del psicofarmaco.

2) Il Bambino

Il bambino di oggi “è” il bambino di ieri, ovvero un soggetto in evoluzione con i “suoi” tempi di maturazione, con la “sua” necessità di libertà esplorativa, con i “suoi necessari” spazzi temporali di espressione ludica, ecc., ecc.
Ora, sembra che sia statisticamente provato che, i cosiddetti soggetti ADHD, tra i ragazzi che vivono nella giungla amazzonica, o tra gli inuit, o nelle bidonville brasiliane, tra le tribù africane o semplicemente in tutte quelle località ove esiste una adeguata proporzionalità tra tempo di inattività fisica (ex studio) e tempo di gioco ludico.
Forse che in quei luoghi non esistono soggetti a basso controllo? Non credo.
Credo però che, ove il controllo di tipo strutturato e coercitivo è meno serrato, ove esiste maggiore libertà di espressione anche fisica, il problema risulti meno evidente, più sopportabile, meglio gestibile.
Il bambino, come tutti i cuccioli, necessità di esprimere un proprio modo di evolversi, facendo le proprie esperienze, lavorando per prove ed errori. Necessita di cadere per comprendere come rialzarsi.
Come sono cambiati i sistemi sociali in pochissime generazioni?
Teniamo conto che i nostri bambini vengono cresciuti da adulti che hanno sperimentato maggiori gradi di libertà rispetto a quelli apprezzabili dai nostri fanciulli, si sono lentamente adeguati a ritmi di vita diversi, molto più frenetici, con minori spazzi temporali dedicati o dedicabili alla persona, tempi che hanno ridotto anche i livelli di sopportazione delle persone.
I nostri bambini vivono sistemi rigidamente strutturati circondati da muri d’ansia che li costringono prigionieri in angusti spazzi altrettanto rigidamente regolamentati.
Se dovessi fare una trasposizione personale troverei veramente difficile confrontare il mio sistema di vita in età infantile con quello dei bambini di oggi.
Nei primi anni 60 la televisione si presenta con due soli canali. La RAI inizia le trasmissioni a partire dal tardo pomeriggio, un paio d’ore scarse di “TV dei ragazzi” seguono programmi per un pubblico adulto. A letto dopo “Carosello” (20,45 circa) e nel caso che si guardasse un film raramente terminava oltre le 22.30, considerato orario estremamente notturno.
Pochi giochi già pronti all’uso erano a nostra disposizione, un po' per motivi economici, un po' per oggettiva carenza di varietà.
Il giocattolo più importante di un bambino, fino ad un quarto di secolo fa, era la fantasia. Con la fantasia si creava, si costruiva, si bruciavano energie fisiche e mentali. Con la fantasia si costruiva il proprio domani sperimentando continuamente le proprie capacità.
I ritmi erano cadenzati, lenti ... costanti. La scuola fino a poco dopo l’orario di pranzo (mezzogiorno), nessun tempo prolungato, i compiti (difficile anche in quei tempi tenere un bambino seduto in cucina con la testa su sussidiari e quaderni, il lavoro è pesante in tutti i tempi e a tutte le età), si prosegue col gioco sino ad ora di cena, una cena consumata spesso con tutta la famiglia attorno al tavolo, ad orari ad oggi spesso impensabili (generalmente verso le 19 circa un po' per tutti). La routine settimanale comprendeva il pomeriggio dedicato al catechismo, qualche fortunato (fortunato?), era inserito in qualche ambiente sportivo, quasi sempre calcistico. Per le femminucce poche offerte. In quei tempi maggiori gradi di libertà erano lasciati ai bambini che giocavano liberamente nelle strade, nei campetti dell’oratorio, nei giardini pubblici o nelle piazze, luoghi nei quali si recava da solo e dai quali rientrava, sempre da solo, prima che facesse buio (non c’era il cellulare). Una generalizzata bassa esposizione ai sistemi comunicativi (TV) faceva si che le persone fossero generalmente meno in ansia. Nessuna, o per lo meno alquanto limitata paura dell’orco, del pedofilo, dell’incidente stradale, ecc. Con questo non voglio dire che non esistessero questi pericoli, solamente erano molto meno sentiti e assillanti.
Un bambino che viveva il suo ruolo di bambino. Un bambino che alla soglia dell’adolescenza giocava ancora agli indiani o con le bambole. Un bambino con tutto il tempo per metabolizzare le proprie scoperte.
Visione romantica …. forse … ma, pensate un attimo alla vostra giovinezza (se avete almeno più di trent’anni) e valutate la differenza di ritmi e stimoli da quelli a voi forniti dal sistema sociale da voi vissuto e quelli forniti ai vostri bambini oggi.
Facciamo una panoramica sulla giornata tipo di un nostro bambino. La sveglia alla mattina deve tener conto dei tempi per vestizione di tutta la famiglia, colazione, trasporto a scuola … il tutto entro la timbratura del cartellino di lavoro dei genitori, quindi per il bambino vi è la necessità di adeguarsi velocemente a tempi e regole genitoriali, ritmi che non tengono minimamente conto dei necessari tempi richiesti al bambino per un non traumatico distacco. Segue l’ambiente scolastico che, ai nostri giorni, occupa spesso la maggior parte delle giornate della settimana, sabato compreso. l’ambiente scolastico con le sue materie  richiede un veloce adattamento del bambino alle relative figure di riferimento, spesso non meno di due otre.
A scuola non si portano i propri giocattoli, non si corre, non si gioca alla lotta, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si parla con i compagni durante le lezioni (ma quante ore di lezione fanno?), non si …, non si …,
Terminato l’orario scolastico velocemente a casa perché ci sono i compiti da fare e … fino a quando non sono terminati, non si gioca, non si..., non si …
Terminati i compiti è finalmente possibile giocare ma fuori da soli no, l’universo è pieno di pericoli, quindi in casa con giochi già pronti all’uso, davanti alla televisione o ad un videogioco, ovvero giochi con regole non modificabili, dove il bambino evidenzia la sua bravura quando è rapido ad adattarsi alle regole imposte dal gioco. Ovviamente, visto che siamo in casa non si gioca alla lotta, non si corre, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si .., non si ..
Ma l’eccessiva sedentarietà nuoce alla salute, lo sanno tutti. Il pediatra insiste per far si che il bambino faccia attività motoria perché è in sovrappeso, per motivi di scogliosi, perché si evidenzia quanto mai scoordinato (forse troppi videogame?), gli insegnanti insistono affinché il bambino faccia attività sportiva “così si scarica”, ed allora ... lo iscriviamo in palestra dove si divertirà tantissimo …. si divertirà a seguire le regole e le sollecitazioni dell’allenatore, della maestra di ballo, dei genitori che lo vedono già in nazionale o ballerina alla scala, ops scusate volevo dire velina, sognare di essere ballerina alla scala oggi è demodè.
A proposito durante l’allenamento non si portano i propri giocattoli, non si corre, non si gioca alla lotta, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si parla con i compagni durante le lezioni (ma quante ore di lezione fanno?), non si …, non si ….
Oltre alle materie scolastiche è utile per il nostro fanciullo frequentare corsi che lo “stimoli” dal punto di vista cognitivo, dal punto di vista artistico, ecc., quindi vogliamo fargli mancare un corso di computer (alle elementari), un corso di musica, un corso aggiuntivo di lingue, un’esperienza teatrale, il corso di nuoto è cosa quasi d’obbligo, a dimenticavo nella nostra cultura cattolica il corso di catechismo è d’obbligo.
Ricordiamoci sempre che durante i corsi non si portano i propri giocattoli, non si corre, non si gioca alla lotta, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si parla con i compagni durante le lezioni (ma quante ore di lezione fanno?), non si …, non si …,
Velocemente a casa perché è ora di cena (ore 20,30-21) e se si vive in appartamento, non si corre, non si gioca alla lotta, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si …, non si …,
Ci sono sempre più bambini a cui viene diagnosticato un Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), o disagi vari dell'autocontrollo, ma nessuno sembra rendersi conto che possono cambiare i tempi, possono cambiare i ritmi, possono cambiare le esigenze, ma non cambiano i bambini e le loro esigenze.
I bambini rimangono quei soggetti estremamente fragili che necessitano si di stimoli ricchi e vari, ma al contempo, anche e soprattutto di tempi e spazzi a loro adeguati in modo che possano metabolizzare e far proprie le esperienze fatte.
Come mai, noi adulti, ci adeguiamo istintivamente alle esigenze di soggetti diversamente abili, spesso in modo eccessivo, al punto da non permettere a loro di sviluppare un maggior quantitativo di competenze, e non ci adeguiamo ad un soggetto potenzialmente abile ... in futuro … e pretendiamo tutti che esso si adegui a noi.
Facendo una valutazione che tenga conto delle vere esigenze del fanciullo, chi sa dire quali e quanti siano i bambini realmente affetti da un patologico disturbo di attenzione e chi invece, col proprio comportamento, denuncia una mancanza di attenzione nei confronti di sacrosante esigenze?

3) la famiglia primaria.

Chiediamo calma, tranquillità, coerenza, "ubbidienza", rapida interiorizzazione delle regole ma, com'è la famiglia dei nostri giorni?
È spesso la famiglia del figlio unico, preoccupata per la devastante crisi economica degli ultimi anni, combattuta tra il pagare il mutuo e la martellante pubblicità dell'ultimo smartphone.
Genitori in fibrillazione che non hanno tempo e modo di lasciare o accompagnare i propri pargoli nei giardini pubblici ma che iscrivono i loro figli a più sport, al corso di musica, danza, scout, senza dimenticare l'impegno oratoriale (anche se i genitori non sono professanti). Pressati dai compiti dei figli, dalle riunioni scolastiche, sindacali, dall'appuntamento con l'estetista, con il tatuatore, la partita a calcetto o il corso di pilates.
Genitori che accompagnano la figlioletta/bambina a scuola con il nuovo look della star cinematografica o musicale del momento, padri che portano il figlioletto dalla parrucchiera a fare i capelli come il campione calcistico della squadra del cuore.
Genitori pressati in piccoli appartamenti con mura di cartapesta, che silenziano i figli con l'ultimo videogioco da fare in solitaria davanti ad uno schermo televisivo. Appartamenti dotati di due o più televisori, computer, tablet, davanti al quale ogni componente della famiglia può perdersi in una propria virtuale vita chiudendo la reale comunicazione.
Genitori che palesemente non riconoscono l'autorevolezza professionale degli insegnanti, in quanto spesso posseggono un eguale se non superiore titolo accademico, ma pretendono che i loro figli abbino un comportamento deferente in ambito scolastico.
Genitori che infrangono o manifestamente disprezzano le regole sociali ma che pretendono che i loro figli si attengano alle prescrizioni.
Genitori di diversa etnia, che volendo mantenere in ambito privato e chiuso, il proprio sistema culturale costringono i figli ad una quotidianità schizofrenica.
Una vita schizofrenica, incoerente con le richieste di un mondo che non sa più cosa vuole, incongruente con la vita che dovrebbe fare un bambino

4) le figure educative che ruotano attorno al bambino

E con questo quarto punto entriamo in una vera e propria giungla, un coacervo di regole, richieste, sistemi educativi, filosofie di vita. Decine di persone che ruotano attorno alla vita del bambino nel tentativo di formarlo a proprio propria immagine e somiglianza, con richieste che spesso entrano in collisione con quanto già appreso o interiorizzato precedentemente, ma facciamo qualche esempio.
• Gli insegnanti scolastici, ognuno diverso dall'altro a rappresentare una diversa materia i quell'immenso scibile di sapere che ogni singolo fanciullo dovrebbe apprendere nella sua lunga carriera scolastica. Ogni singolo insegnante ha un proprio metodo per divulgare il proprio sapere, metodo che se non compreso dall'alunno potrebbe essere foriero di difficoltà negli apprendimenti. Ogni docente ha un proprio modo di interfacciarsi socialmente con i propri alunni, c'è chi è maggiormente propenso alla discussione ed all'animazione, chi invece si attiene al sistema classico di lezione frontale, metodi diversi che lo stesso insegnante proporrà in modo analogo a tutti gli alunni a cui farà lezione, sta agli alunni adattarsi ai diversi modi comunicativi che i diversi insegnanti proporranno.
• I tecnici sportivi, spesso concentrati al raggiungimento delle prestazioni e dei risultati agonistici. Ognuno portatore di ben definite regole (quelle dello sport divulgato), ognuno col proprio stile educativo e didattico. Ognuno a richiedere disponibilità, impegno, capaità di perseguire un obbiettivo
• Gli educatori artistici (ballo, canto, musica), non divergono da quanto sopra detto per gli educatori sportivi.
• Gli educatori religiosi portatori di regole ancestrali a volte incomprensibili. Provate spiegare ad un bambino il perché l'islamico non può mangiare carne di maiale, mentre l'induista non può mangiare quello di bovino, al contempo il cattolico può mangiare tutte le carni ma al venerdì deve astenersene ed in ogni caso è deplorevole che si cibi di animali da noi considerati di compagnia come cane e gatto mentre in Corea la carne di cane è una prelibatezza.
• Non parliamo poi degli operatori sanitari, in grado di misurare tutto, colesterolo, indice di massa corporea, quoziente intellettivo, devianza rispetto alla media dei coetanei sulla correttezza nella trascrizione delle parole o sul numero di volte che chiede di fare pipi.
Ogni soggetto che entra in contatto col fanciullo è portatore non sempre sano di regole, che impone con una propria alchimia di autorità e autorevolezza.
A proposito spesso queste diverse figure spesso entrano in contrasto tra loro, ad esempio è frequente che la metodologi di insegnamento di una particolare attività sportiva adottata da un allenatore sia in contrasto con quella dell'insegnante di educazione fisica della scuola frequentata dal pargolo, è possibile che il consiglio di mangiare più carne fatta da un medico entri in conflitto con la cultura vegana di uno o di entrambi i genitori. Non è infrequente che il genitore aiuti il proprio figlio a fare i compiti utilizzando metodologie risalenti alla propria infanzia, si può insistere sul fatto che la cosa che conta è il risultato, ma se il metodo è diverso da quello utilizzato dall'insegnante il bambino lo rifiuterà o entrerà in crisi, ha ragione la maestra o la mamma?
Potremmo portare esempi di decine, per non dire centinaia, di esempi di educazione incongruente, ma in fin dei conti la cosa essenziale è rilevare che questo nostro frenetico mondo richiede ai nostri fanciulli facoltà di adattamento che reputo non compatibili con la loro crescita armonica. Pochi momenti di gioco libero, di fantasizzazione senza che nessuno ti proponga l'ultimo gioco in grado di incrementare le capacità creative, pochi spazzi ove due o più bambini, senza supporti esterni possano inventarsi un gioco; sembra incredibile ma si può giocare a calcio anche con una lattina vuota e, se per sfortuna, la lattina colpisce un lembo di pelle scoperto del corpo e lascia una leggera echimosi non è un dramma, il bimbo impara a sopportare i piccoli incidenti della vita. Quanto ora detto mi ricorda un episodio di alcuni anni fa. Sera d'estate bambino di 4-5 anni con la bicicletta scorazza assieme ad un'altra decina di bimbi sul sagrato della chiesa, una curva troppo stretta, una maldestra manovra e vedo il bimbo fare un bel ruzzolone sul selciato, un colpo d'occhio, la caduta non sembra abbia causato gravi danni se non qualche escoriazione, il padre si alza di scatto e gli dice con voce piuttosto alta "hai rotto la bicicletta nuova?", il bimbo si alza, guarda il padre non sapendo che espressione fare, il genitore rifà la domanda in modo più deciso, il ragazzino si avvicina alla bicicletta, la alza, la guarda in tutte le sue parti, nel mentre un piccolo rivolo di sangue scende da un ginocchio, nulla di grave una leggera escoriazione, il padre insiste e gli dice "vediamo se va ancora", il bimbo sale fa qualche pedalata lo guarda come per dire "visto la bicicletta non si è fatta nulla" e riparte con gli altri bambini e il genitore ritorna a sedersi sul vicino muretto sotto gli sguardi sbigottiti degli altri genitori.
I bambini sono bambini, non adulti in miniatura e devono vivere la loro vita di bambini, farsi le loro esperienze, sbucciarsi le ginocchia, correre, sudare e rischiare di raffreddarsi, piangere, ridere, sentire paura, essere orgogliosi per ogni piccola vittoria. Il bambino deve sentirsi vivo (vivace), spetta al sistema educativo sopra elencato, con calma e rispettando i tempi evolutivi aiutare il bambino ad interiorizzare il fatto che nella vita c'è un tempo per ogni cosa, un tempo per giocare e uno per studiare, uno per correre e uno per stare seduto (mi sembra che qualcosa di simile sia riportato in un testo molto più famoso delle mie quattro righe. Essenziale è che il mondo che circonda il bambino sia consapevole dei valori, delle richieste e dei ritmi che induce.

A seguito riporto i criteri diagnostici e vi chiedo di valutare con quale facilità un genitore ansioso, un insegnante stressato o un operatore sanitario un po' superficiale o peggio possa vedere in un bambino particolarmente vivace o per vari problemi in ansia, un bambino affetto da ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder), la terribile sigle che sta per Sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Già la parola sindrome di per se incute ansia, se poi è il servizio sanitario l'unico a poterla affibbiare, con una equipe formata da neuropsichiatra, psicologo, logopedista, psicomotricista ... immaginate voi gli stati d'animo che si generano attorno alla figura del fanciullo e nel fanciullo stesso.

Criteri diagnostici

Secondo il  DSM IV un bambino deve presentare almeno 6 dei seguenti sintomi per un minimo di sei mesi e in almeno due contesti; inoltre, è necessario che tali manifestazioni siano presenti prima dei 7 anni di età e soprattutto che compromettano il rendimento scolastico e/o sociale.
Se un soggetto presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di disattenzione, viene posta diagnosi di sottotipo disattento; se presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di iperattività-impulsività, allora viene posta diagnosi di  sottotipo iperattivo-impulsivo; infine se il soggetto presenta entrambe le problematiche, allora si pone diagnosi di sottotipo combinato.
I 18 sintomi presentati nel DSM-IV sono gli stessi contenuti nell’ICD-10 (OMS, 1992), l’unica differenza si ritrova nell’item (f) della categoria iperattività-impulsività (Parla eccessivamente) che, secondo l’OMS, è una manifestazione di impulsività e non di iperattività.
Disattenzione

(a) spesso fallisce nel prestare attenzione ai dettagli o compie errori di inattenzione nei compiti a scuola, nel lavoro o in altre attività;
(b) spesso ha difficoltà nel sostenere l’attenzione nei compiti o in attività di gioco;
(c) spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente;
(d) spesso non segue completamente le istruzioni e incontra difficoltà nel terminare i compiti di scuola, lavori domestici o mansioni nel lavoro (non dovute a comportamento oppositivo o a difficoltà di comprensione);
(e) spesso ha difficoltà ad organizzare compiti o attività varie;
(f) spesso evita, prova avversione o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale sostenuto  es. compiti a casa o a scuola);
(g) spesso perde materiale necessario per compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti assegnati, matite, libri, ecc.);
(h) spesso è facilmente distratto da stimoli esterni;
(i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
Iperattività

(a) spesso muove le mani o i piedi o si agita nella seggiola;
(b) spesso si alza in classe o in altre situazioni dove ci si aspetta che rimanga seduto;
(c) spesso corre in giro o si arrampica eccessivamente in situazioni in cui non è appropriato (in adolescenti e adulti può essere limitato ad una sensazione soggettiva di irrequietezza);
(d) spesso ha difficoltà a giocare o ad impegnarsi in attività tranquille in modo quieto;
(e) è continuamente “in marcia” o agisce come se fosse “spinto da un motorino”;
(f) spesso parla eccessivamente;
Impulsività

(g) spesso “spara” delle risposte prima che venga completata la domanda;
(h) spesso ha difficoltà ad aspettare il proprio turno;
(i) spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri (es. irrompe nei giochi o nelle conversazioni degli altri).

in un mondo come quello sanitario che si dichiara "scientifico". Qual è il valore assoluto che equivale alla parola spesso?
La percezione di "spesso" di una mamma/papa stanchi e stressati dopo una giornata di lavoro o in crii per la perdita dello stesso sono analoghi a quelli di un insegnante che sta gestendo 25 bambini di tre o quattro etnie diverse e con diverse proprietà di linguaggio? Le risposte nello studio del neuropsichiatra o dello psicologo, nei teorici 45 minuti di seduta, la somministrazione degli item come da protocollo porterà o meno alla conferma di quanto lamentato dalla maestra che il piccolo teppista è ingestibile e necessita di aiuto farmacologico con qualche psicofarmaco a caso (diagnosi già vista), tenendo presente che il bambino, anche se fa rima, non è cretino, e se viene accompagnato in un ospedale al cospetto di "dottori" forse qualche popò d'ansia addosso se la fa, forse le sue risposte agli item non saranno proprio il top della coerenza, stessa cosa dicasi per la super richiesta di diagnosi in merito a disturbi specifici di apprendimento (DSA) o disturbi generici di che ancora nessuno ha capito (BES).

In conclusione vi esorto a stare molto attenti nel richiedere e/o rilasciare facili diagnosi perché:
1) In un mondo estremamente digitalizzato le diagnosi restano in eterno nell'etere e, non e detto che in un futuro anche remoto, una antica diagnosi non salti fuori proprio nel momento in qui il nostro una volta fanciullo sta per intraprendere una particolare attività professionale (se foste militari accettereste uno con "sindrome da ipercineticità e disturbo dell'attenzione in un posto di alto comando?)
2) Per effetto pigmalione il fanciullo con una diagnosi tenderà a conformarsi alla diagnosi stessa e quello che potrebbe essere un problema passeggero potrebbe diventare una caratteristica perenne della persona
3) Ad un problema educativo si risponde con una soluzione educativa e non sanitaria, quindi strategie di lavoro tra insegnanti, genitori, educatori, pedagogisti, il medico si chiama se il bambino ha mal di pancia non se è da educare. La sanità serve sulla patologia, quindi neurologo, psichiatra, psicologo, logopedista, psicomotricista si occupino di ri-abilitazione non di sistemi educativi.
4) Se il bambino è agitato chiediamoci subito, noi adulti, cosa stiamo facendo. Se siamo i genitori chiediamoci se non è qualcosa nel nostro comportamento o nella gestione del nostro menage famigliare che provoca stati reattivi nel bambino, se siamo insegnanti chiediamoci se il comportamento  di quel'alunno, non sia un modo per richiamare la nostra attenzione e così via.
5) I bambini di oggi saranno probabilmente genitori domani educhiamoli ad educarsi e ad educare. Prendiamoci le nostre responsabilità di educatori e non permettiamo di sterilizzare l'infanzia


Contatore visite gratis
Torna ai contenuti