Pedagogisti Clinici ANPEC Sezione Mantova

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Consider ... Azioni

Persona Vs Categoria

nessuno vince tutti perdono


In tempi di figlio unico.

In tempi di estrema attenzione alle sole prestazioni.
In tempi ove un deficit negli apprendimenti qualificano tutta la persona.
In tempi ove l'insegnante non educa ma trasmette informazioni
In tempi ove la valutazione degli apprendimenti viene fatta con metodi oggettivi analitici (come si spiegherebbero voti tipo 4,25 - 6,75 ecc.)
In tempi ove il genitore cerca di essere sempre più amico/a, dei figli e sempre meno padre o madre.
Il ragazzo che evidenzia anche un solo particolare disagio è soggetto da "curare" onde evitare lo stigma sociale.

Nel definire le mie esperienze professionali come Pedagogista e hobbistiche come Tecnico Sportivo devo utilizzare una frase tratta da un vecchio e famosissimo film di fantascienza Blade Runner:
"Ho ho visto cose che voi umani non potreste neanche immaginare, (...). E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia".
Ma quei momenti non devono andare persi. I ricordi sono storia. E la storia insegna come evitare gli errori del passato, come esplorare nuovi territori, come trovare nuove vie. Sempre che si voglia leggere la storia e sempre che si abbia voglia e coraggio sufficienti a mettere in pericolo la propria integrità cognitiva ed emotiva per esplorare nuovi mondi e nuovi modi.

Ho visto genitori inaffidabili chiedere personalizzati percorsi educativi per rendere maggiormante affidabile il figlio.
Ho visto insegnanti forzare l'acquisto di sistemi elettronici ed informatici quali panacea in grado di garantire sensibili incrementi delle capacità cognitive.
Ho visto genitori non accettare il reale deficit del figlio.
Ho visto diagnosi di disgrafia su soggetti non disgrafici.
Ho visto genitori chiedere ed esigere tempistiche certe in merito al miglioramento ... andarsene risentiti alla risposta "dipende da voi e da vostro figlio".
Ho visto insegnanti, a corsi specifici di aggiornamento, arrivare in notevole ritardo, ignorare il relatore, disturbare parlando dei fatti propri, criticare l'argomento di discussione prima ancora che l'argomento fosse stato discusso, seduti in modo da non aver mai un rapporto visivo col relatore, trasformare i dieci minuti di pausa caffè in mezz'ore di relax di gruppo.
Ho visto insegnanti scrivere quantità immani di note sui diari dei loro ragazzi perché non prestavano attenzione e/o disturbavano durante le lezioni o entravano in ritardo dopo la ricreazione.
Ho visto genitori sostituirsi al tecnico sportivo e, dichiarando che il figlio non è pronto, non far partecipare il figlio ad un evento.
Ho visto docenti rispondere ad un genitore, preoccupato dell'ansia che attanaglia il figlio in ambiente scolastico, rispondere alla Mourinho "non è un problema mio".
Ho visto personale docente completamente disinteressato dei problemi sociali ed emotivi dei propri alunni, comunicare vicinanza ed empatia dopo un evento tragico.
Ho visto genitori aggredire docenti cercando di difendere l'indifendibile. Non parlo del fanciullo ma del sistema educativo genitoriale che ha plasmato quel ragazzo.
Ho visto associazioni e i più svariati professionisti offrire protocolli di lavoro in grado di "curare" qualunque "DIS......ia" e, nei momenti di acuta esigenza, tutte le offerte educative sono buone, almeno tutte quelle che promettono mirabolanti evoluzioni del soggetto soprattutto se a costi bassi.
Ho visto presentare software ed hardware come mirabolanti strumenti compensativi in grado di fungere da perfette stampelle cognitive
Ho visto "consigliare", con estrema leggerezza psicofarmaci a fanciulli "vivaci" o in situazione di alterazione emotiva dovuta a disagi familiari, con altrettanta leggerezza diagnosticati 'ADHD" (Sindrome da ipercineticità e disturbo dell'attenzione). Benedetti psicofarmaci, se non ci fossero loro, ancora non riesco a comprendere come siamo riusciti a sopravvivere a tutti quei bambini ipercinetici del secolo scorso. Qualcuno un giorno mi disse "strano, tra i bambini delle favelas brasiliane, dei villaggi africani o dell'amazzonia e delle comunità povere dei paesi in via di sviluppo non vi sono soggetti certificati ADHD ..., che sia un virus che colpisce solo i paesi benestanti?
Ho visto genitori obesi, spatolati sui propri divani, insultare i figli spatolati sugli stessi divani davanti a dei videogames per il fatto che questi non fanno alcuno sport.
Ho visto le forze dell'ordine aumentare la repressione nella lotta alla droga.
Ho visto un aumento spropositato nel consumo di sostanze psicotrope.
Ho visto tanti chiedere e pochi dare.
Ho visto ...
È questo un discorso lungo e complesso che può essere continuato con una infinità di esempi ... tutti riconducibili ad un unico problema "la spersonalizzazione della responsabilità".
I meriti sono sempre riconducibili alla persona i demeriti sempre alla categoria e le categorie si barricano contro qualunque aggressione difendendo l'indifendibile.
I giovani di oggi non hanno senso del dovere, i politici sono corrotti, gli insegnanti incapaci, abbiamo la malasanità, ecc., ecc.
È corretto difendere la propria categoria, non è corretto difendere la persona che danneggia la propria categoria. Scomodando il buon vecchio Erik Fromm, la categoria non è ciò che siamo ma ciò che possediamo. Noi siamo persone con specifiche competenze che ci contraddistinguono, ma la competenza è l'avere, che è sempre diverso dall'essere
Da Pedagogo devo criticare il confronto tra la categoria genitore e quella dell'insegnante quando si discute di un soggetto terzo, ma devo sollecitare il confronto fra "persone" (la persona genitore e la persona insegnante), in possesso ognuna di diverse competenze e una diversa e personale visione del fanciullo.
Persone che devono essere entrambe concentrate sul "potenziale" futuro dello stesso fanciullo. Persone che discutono sul come "facilitare" al ragazzo l'accesso a questo futuro.
Persone consapevoli del fatto di non essere parte di questo futuro.



Effetto Pigmalione
arma a doppio taglio in mano all'operatore educativo

Il mito di Pigmalione, lo descrive come un giovane Re di Cipro amante della scultura a tal punto da dedicarvisi totalmente e rinunciare ad amore e matrimonio. La sua ispirazione artistica lo indusse a scolpire, in candido avorio, una figura femminile di bellezza superiore a quella di qualsiasi donna vivente, una bellezza tale che lo portò ad innamorarsi di questo suo costrutto artistico.
La baciava e gli sembrava che lei rispondesse ai suoi baci. Le parlava, la stringeva a se immaginando che le proprie dita affondassero nelle rigide membra che toccava. Pigmalione, sempre più pazzo d'amore per quel candido simulacro, la colmava di tenerezze e doni. Di notte lo scultore condivideva il proprio talamo con la statua, a cui diede il nome di Galatea, considerandola la propria amante. Le faceva appoggiare la testa su morbidi cuscini di piume, come se lei se ne rendesse conto. Il giorno della festa di Afrodite, Pigmalione porta il proprio dono agli altari, di fronte ai quali si sofferma sussurrando timidamente:
"O dèi, se è vero che voi potete concedere tutto, io ho un desiderio: vorrei che fosse mia sposa..." (e non osa dire "la fanciulla d'avorio" ma dice) "una donna simile a quella d'avorio!".
La dea Afrodite, presente alla sua festa, percepì il significato reale di questa supplica ed ecco che la fiamma sull'altare, interprete della benevolenza della dea, tre volte si riaccese e guizzò verso l'alto e la statua prese vita. Afrodite, soddisfatta, presenziò al matrimonio di cui è stata artefice e dopo che "per nove volte la luna ebbe congiunto le sue corna a completare il cerchio" (dopo nove mesi), la sposa generò Pafo, da cui l'isola prese il nome.
Un bel mito, il mito di un grande quanto pazzesco amore in grado di influenzare una Dea e convincerla a realizzare un sogno.
Dal mito alla realtà, l'avverarsi di una personale supposizione e/o pensiero previsionale è quanto mai frequente in tutti gli ambiti non solo scientifici ma anche e soprattutto sociali e, la cosa, non sempre ha risvolti positivi, anzi raramente lo è.
L'effetto "Pignamlione" o effetto "Rosenthal", dal nome dello psicologo tedesco che per primo parlò di questo fenomeno, è una forma di suggestione e/o autosuggestione per cui le persone tendono a conformarsi all'immagine che altri individui hanno di loro, sia essa un'immagine positiva che, badate bene, NEGATIVA.
Per fare un po' di chiarezza vediamo di raccontare quale fu l'esperimento sociale messo in atto da Rosenthal che lo portò a queste particolari conclusioni.
Ipotesi di partenza:
"se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri. Di conseguenza, il bambino si convincerà pian piano del giudizio dei suoi insegnanti, per il bambino nel tempo tenderà a divenire esattamente come gli insegnanti lo avevano disegnato".
In funzione di questa tesi Rosenthal, con la sua équipe americana, mise in piedi un esperimento di psicologia sociale all'interno di una scuola elementare. Per prima cosa sottopose, in modo palese, un test di intelligenza agli alunni della scuola. Successivamente selezionò, in maniera casuale (random) e senza badare all'esito del test, un numero ristretto di alunni, ed informò gli insegnanti che, si trattavano di bambini molto intelligenti, con un QI ben al di sopra della media e che potevano aspettarsi da quei soggetti una rapida ed ulteriore crescita delle capacità intellettive. Ovviamente gli insegnanti erano conviti che, quanto dichiarato da Rosenthal fosse l'oggettivo risultato dei test a cui erano stati sottoposti i bambini.
La suggestione fu tale che, quando l'anno successivo, Rosenthal tornò presso la scuola elementare, dovette costatare che, in effetti, il rendimento dei bambini selezionati era molto migliorato (in alcuni casi in modo quasi esagerato) e questo solo perché gli insegnanti li avevano influenzati positivamente con il loro atteggiamento, ovviamente inconsapevoli del fatto che fosse tutto legato alla suggestione.
L'effetto Pigmalione si attiva in tutti i casi in cui si sviluppino rapporti sociali, ad esempio tra dipendenti e datori di lavoro, tecnici sportivi ed atleti, ufficiali e truppa, primari e medici, perfino nei rapporti esistenti all'interno delle compagnie amicali o nei rapporti famigliari possiamo rilevare effetti Pigmalione.
Un vero e proprio circolo vizioso che porta l'individuo ad adattarsi ai giudizi ed alle aspettative di chi lo giudica, finendo poi di confermare il giudizio ricevuto positivo o negativo che sia.
Ora, vi ricordate quali erano le ipotesi di partenza di Rosenthal?
"se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri. Di conseguenza, il bambino si convincerà pian piano del giudizio dei suoi insegnanti, per il bambino nel tempo tenderà a divenire esattamente come gli insegnanti lo avevano disegnato".
A questo punto vi ricordate quali furono le informazioni che lo stesso Rosenthal diede?
"informò gli insegnanti che si trattavano di bambini molto intelligenti, con un QI ben al di sopra della media e che potevano aspettarsi da quei soggetti una rapida ed ulteriore crescita delle capacità intellettive."
Rosenthl era consapevole che, se avesse avuto ragione, l'invertire la tipologie di informazioni fornite agli insegnanti, ovvero dare un elenco di nominativi di ragazzi presentanti ridotte capacità intellettive, le conseguenze sarebbero state gravi per il futuro, non solo curriculare, dei giovanissimi studenti inseriti in quell'elenco.
SI RICORDA CHE GLI ERRORI EDUCATIVI NON SONO CANCELLABILI
A questo punto alcune considerazioni.
Quanto influiamo noi adulti, con il nostro atteggiamento, sulla formazione psicologica e cognitiva sui futuri uomini e donne?
Quante volte, inconsciamente, noi tutti, insegnanti, genitori, educatori extrascolastici, operatori del servizio sanitario, amici, ecc, applichiamo l'effetto Pigmalione secondo le ipotesi di partenza di Rosenthal, ovvero "se crediamo che un bambino sia meno dotato lo tratteremo, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri, convincendolo che quel giudizio affibbiatogli dal mondo sociale che lo circonda è corretto, conseguentemente il fanciullo tenderà nel tempo ad aderire esattamente all'etichetta affibiatagli, confermando così la primigenia ipotesi".
L'effetto Pigmalione ci circonda e permea la vita di tutti, il bambino in ambiente scolastico, il dipendente in ambiente lavorativo, la persona in ambiente sociale, il coniuge in ambiente famigliare, ecc. Ovunque ci sia una trasmissione di informazioni che riguardano l'opinione che si ha di altri si creano le basi per un adattamento forzato della persona coinvolta a queste opinioni.
In questo specifico contesto parliamo di soggetti in età scolare del primo e secondo ciclo alle prese con deficit importante dell'autostima acquisito e/o rinforzato in ambiente scolastico.
La scuola, per tutti i bambini, è il primo grande impegno sociale.
Un grande obbligo, in un momento della vita nella quale ancora non si conosce il vero significato della parola obbligo.
In questo nuovo e inospitale ambiente (non ospitale come dovrebbe essere per tutti l'ambiente famigliare), il ragazzo/a si trova a doversi adattare a nuove regole, nuove figure di riferimento, nuove e spesso incomprensibili richieste prestazionali. In questa importante fase evolutiva fondamentale è il rapporto che si instaura con le nuove figure fornitrici di richieste, soggetti in grado di influire esageratamente sulle idee che il bambino ha di se stesso.
Quando ad un alunno, con disagio/disturbo di apprendimento (DSA), viene chiesto di svolgere attività curriculari, affiancato al proprio insegnante di sostegno, fuori della propria classe viene rinforzata l'idea di inadeguatezza che esso ha di se stesso. Ovvero la conferma che "se stesso si trova ad livello inferiore del resto della classe" due livelli non miscibili, ... ma se i livelli non sono miscibili non lo sono anche le persone appartenenti a quei livelli.
Altro importante momento di trasmissione dell'effetto Pigmalione lo troviamo nel passaggio tra la scuola primaria e quella secondaria.
Alla fine della classe quinta della scuola primaria, l'insegnante di riferimento trasmetterà tutta una serie di informazioni, oggettive e/o soggettive che siano in merito a comportamenti, prestazioni, atteggiamenti, rapporto con la famiglia, ecc. degli alunni che transiteranno verso la prima classe della scuola secondaria, all'insegnante di riferimento della stessa mettendo in modo, più o meno inconscio, le basi di quel trattamento che il corpo docente terrà nei confronti del ragazzo/a che lo caratterizzerà per tutto il nuovo ciclo scolastico.
È incredibile come bambini/ragazzi con doti cognitive pari, se non superiori a tanti altri, causa errate, personali e personalistiche valutazioni, vengano etichettati in modo indelebile, causando un progressivo adattamento del ragazzo a questa distorta immagine che si ha di esso. Immagine che, se il soggetto valutatore non è in grado di mettere in discussione, accompagnerà il ragazzo per tutta la vita.
Il mondo degli adulti in toto, ma particolarmente chi dell'educazione ne fa la sua professione ha un obbligo, se non altro morale, di comprendere quali siano le risposte adattative che vengono sollecitate nel fanciullo da propri atteggiamenti e/o comportamenti non sempre educativamente corretti.
Prima di etichettare in modo NEGATIVO un soggetto, per poter avere dei personali parametri di valutazione non è forse meglio mantenere in sospensione il proprio PERSONALE giudizio.
Prima di utilizzare modelli di rinforzo negativi (che portano alla conferma di una propria inadeguatezza), non è forse meglio utilizzare modelli positivi che rinforzano una personale idea di efficacia ed efficienza.
Alla stessa stregua di come un insegnante criticato si chiuderà sulla difensiva e rinforzerà il proprio sistema da altri giudicato non appropriato, il genitore giudicato aggressivo e per questo ripreso, ridurrà ulteriormente la propria disponibilità comunicativa col corpo docente, IL RAGAZZO GIUDICATO INADEGUATO SI ADATTERÀ A QUESTO GIUDIZIO RINFORZANDO L'OPINIONE CHE IL MONDO POSSIEDE DI LUI.
MEDITATE EDUCATORI CHE IL GIUDIZIO NON è SOLO COSA PERSONALE MA MODELLO SOCIALE.
MEDITATE

Dott. Maurizio Saravalli


ADHD Il bambino terribile.

Introduzione
Categorizzare una persona, soprattutto se questa persona è un bambino, è la premessa per una sua potenziale futura collocazione in un particolare contesto sociale.
Al di la di un effetto Pigmalione o Rosenthal dir si voglia, è noto a tutti l'adagio “non vi è mai una seconda occasione per fare una prima buona impressione”.
Chi, per motivi professionali e/o sociali, ha la facoltà o la possibiltà di categorizzare in modo più o meno ufficiale un individuo in un determinato modo tenderà sempre ad osservarlo e a mettere altri in condizione di valutarlo, guardandolo attraverso un filtro di riferimento che porterà a confermare, più che a falsificare le ipotesi iniziali. Se ad esempio un insegnate crede, o gli vien fatto credere da un altro soggetto considerato di fiducia, che un bambino sia caratterizzato dal punto di vista cognitivo di particolari deficit o dal punto di vista caratteriale come particolarmente irrequieto tratterà inconsciamente il bambino in modo da veder confermate gli pseudo dati di partenza.
Speso e in buona fede, si assiste a veri propri passaggi di consegne tra insegnanti della scuola dell'infanzia e insegnanti scuola primaria stessa cosa dicasi tra insegnanti della primaria con quelli della secondaria. Questi momenti di incontro dovrebbero permettere ai docenti di acquisire informazioni utili, se non a volte veramente necessarie, per un migliore approccio nei confronti di nuovi e sconosciuti studenti, questo con lo scopo primario di massimizzare il lavoro che si andrà a svolgere in ambito scolastico, spesso però questo scambio informativo risulta essere il modo più efficace per mantenere il soggetto in una particolare categoria, riducendo sempre più le possibilità alla persona inserita in uno specifico contenitore sociale di percepirsi e di percepire il proprio futuro diversamente da quanto gli è stato prospettato.
Dall'altra parte il bambino, ma alla stessa stregua può trattarsi anche di un adulto categorizzato, sarà indotto ad interiorizzare lo specifico giudizio a lui assegnato tendendo, anch'esso in modo inconscio, ad assumere un comportamento in linea con le aspettative del categorizzatore, andando di conseguenza a rinforzare sempre più la sua posizione in quello specifico contenitore sociale nel quale è stato messo.
Ora, questo circolo vizioso, può risultare quanto mai di effetto positivo quando il soggetto viene inizialmente descritto con aggettivi che tenderanno ad enfatizzare caratteristiche ritenute, nell'ambiente sociale vissuto, come accettate ed accettabili il problema sussiste quando la persona inizia ad essere inserita in bolle sociali che indicano il possesso di caratteristiche negative.
Lo stesso effetto pigmalione, tendente a portare il soggetto a divenire ciò che il mondo aveva pensato di lui e per lui sarà, il propulsore in grado di facilitare al successo nel primo caso quanto uno strumento potenzialmente deleterio nel secondo.
Tra le varie categorizzazioni le più importanti sono ovviamente quelle che vengono certificate dall'onnipotente servizio sanitario. Questo indispensabile strumento di benessere sociale è in grado di costruire celle di riferimento che persevereranno incorruttibili negli anni a venire della persona da esso catalogata, seguendola ovunque essa vada.
Il Dislessico o il semplicemente certificato “proprietario” di un Disturbo Specifico di Apprendimento (per lo slang odierno ADHD), sarà un soggetto con oggettive difficoltà ad evidenziare le proprie potenzialità anche cognitive, in quanto analizzato con davanti l'onnipresente filtro della in-competenza.
Il disturbo più inquietante che andiamo ad analizzare di seguito è quello che porta la terrificante sigla ADHD, il terrore di ogni genitore e/o educatore di qualsiasi genere (scolastico, sportivo, sociale, ecc.)

Premessa
Secondo il DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) ovvero il libro sacro di tutti coloro che lavorano nell'ambito del disagio della psiche, il "Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività, per gli amici ADHD, è un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato, da inattenzione, impulsività e iperattività.
Nello specifico, il DSM IV distingue tre forme cliniche:

  • inattentiva;
  • iperattiva;
  • combinata.


Nel corso dello sviluppo, lo stesso soggetto può evolvere da una categoria all’altra manifestando nelle varie fasi d’età le tre differenti dimensioni psicopatologiche in modo variabile.
Penso che sia per tutti "chiaro "che in questa sede non si parla di bambini e ragazzi semplicemente "
vivaci" o "notevolmente vivaci", stiamo ovviamente parlando di soggetti presentati un disagio grave nell'ambito del controllo e della capacità di direzionare e mantenere la propria attenzione nell'attività praticata, in sostanza parliamo di soggetti che presentano un'assoluta incapacità di focalizzare e mantenere la propria mente sul bersaglio per tempi sufficientemente lunghi da permettere il suo raggiungimento, a cui si aggiunge un'assoluta impossibilità di "pre-vedere" la possibile consequenzialità e potenziali conseguenze di eventi da loro attivati con le loro azioni.
Sono questi bambini e ragazzi che, al di la di potenziali difficoltà negli apprendimenti in ambito scolastico o nel raggiungimento di un qualsiasi obbiettivo personale degno di nota, possono risultare potenzialmente pericolosi per la propria ed altrui incolumità.
È comprensibile, quanto un disagio di questo tipo, possa generare a cascata stati di vera e propria ansia in tutto quel mondo che, in modo diretto o indiretto, satellita attorno alla vita del soggetto:

  • genitori;
  • insegnati;
  • personale non docente;
  • eventuale referenti educativi appartenenti agli ambienti ludico formativi frequentati al di fuori degli ambienti scolastici, come tecnici sportivi, catechisti, animatori di centri ricreativi;
  • ecc.


I genitori di questi piccoli terremoti oltretutto devono affrontare un problema aggiuntivo ovvero, l'isolamento sociale da parte del gruppo dei pari, diretta conseguenza dell'incapacità fisiologica di gestire il figlio in situazioni aggregative.
La cosa che più preoccupa, almeno leggendo alcuni degli ultimi dati provenienti da quei paesi ove il problema viene seguito con più attenzione, Stati Uniti in testa, è che questa forma di disagio sembra essere in costante aumento. Negli USA si registra, un incremento dei casi pari al 30% in un decennio. Da alcune ricerche fatte si è rilevato che, mentre nel 1998 i bambini americani certificati come iperattivi (ADHD), erano poco meno del 7%, nel 2008 la percentuale è salita al 9%.
I ricercatori non hanno o non danno spiegazioni sul motivo di tale crescita esplosiva.
La prima ipotesi, in merito a questo preoccupante aumento, è che i dati potrebbero risentire della maggior capacità, da parte degli enti sanitari preposti, di fare una simile diagnosi a valle di controlli eseguiti attenendosi scrupolosamente alle procedure in vigore, più che da un reale incremento del numero di persone soggette al disturbo oppure, e questo è un mio sospetto, ad una più bassa soglia di tolleranza dell'ambiente sociale che ruota attorno a questi bambini.
La successiva conseguenza di questo dato consiste nel fatto che, considerando questa forma di disagio un problema da risolvere, se non una patologia da curare (l'utilizzo del termine dipende dalla professione dell'esperto interpellato per entrare in aiuto al soggetto), vi è la ricerca di una tipologia adeguata di stimoli di aiuto o di farmaci, la soluzione utilizzata dipende sempre dalla professione dell'esperto interpellato per tentare di risolvere il problema del ragazzo/a.
Ora, giudico la categorizzazione di una
persona troppo importante per limitarne la visione ad un giudizio/diagnosi emessa solamente da una equipe di seppur bravi professionisti del settore sanitario.
A mio avviso l'argomento merita una discussione ben più approfondita ed articolata che tenga conto di tanti diversi parametri argomentativi presi da diversi angoli di visione del problema.

Il bambino o ragazzo come tutti gli esseri umani di questo pianeta è un essere sociale che nasce e vive in determinati tempi e luoghi, è immerso in policromatici ambienti aggregativi formati da una miriade di altre persone, ogn'una con una propria particolare storia, personalità e cultura, il tutto in un mondo in continua evoluzione.
La vita di noi tutti e dei bambini in particolare, si è notevolmente trasformata negli ultimi decenni, soprattutto in quei paesi che hanno visto una veloce evoluzione del loro sistema tecnico, industriale ed economico. Evoluzione che ha indotto nelle popolazioni un'accelerazione dei ritmi di vita, di assimilazione e metabolizzazione delle nuove scoperte tecnico scientifiche e che, al contempo, ha limitato soprattutto ai più piccoli lo spazio tempo di conoscenza di se e del sé (non fate la lotta che vi fate “male”, non sudare che prendi del “male”, non correre che cadi e ti fai “male”).
Stiamo parlando degli abitanti dei cosiddetti paesi ricchi e oppulenti, appartenenti alla fascia occidentale di quella sfera chiamata Terra.
Parliamo di persone che vivono e al contempo mal sopportano la freneticità del loro steso sistema di vita.
Di seguito analizzeremo in modo approfondito i singoli soggetti protagonisti di questa particolare disamina:
1) - l'ambiente sociale di riferimento
2) - il bambino, ovvero il carnefice ma al contempo la vittima di questa situazione.
3) - la famiglia primaria, ovvero coloro che subiscono, ma al contempo rinforzano l'atteggiamento comportamentale del bambino.
4) - la famiglia allargata che, quando presente nella vita del bambino, tende ad amplificare o ridurre le componenti ansiogene a causa di imposizione di diverse regole o di diverse interpretazioni delle stesse.
5) - le figure educative che ruotano attorno al bambino, anch'esse portatrici di regole

1) - L'ambiente fisico e sociale di riferimento.
I
n questo momento mi sovviene il ricordo di un'immagine postata da alcune persone su un social network, sull'immagine sono ritratti alcuni ragazzini, presumibilmente appartenenti ad un anonimo villaggio africano che seminudi sono rivolti verso una sconfinata pianura. Sopra la testa di uno dei ragazzini un fumetto contiene la seguente frase:
“I bambini in America devono stare 8 ore seduti in classe, li drogano se si muovono troppo o se fanno rumore ed il loro divertimento principale è la televisione”
In risposta sopra la testa di un secondo ragazzino è posta una nuvoletta con la seguente frase:
“Ma è orribile dovremmo fare qualcosa per aiutarli”.
Ora, cosa ci comunicano queste due frasi?
Principalmente che i bambini sono bambini. Che il loro compito è di scoprire il mondo esplorandolo fisicamente e che, per fare questo, hanno la necessità primaria di scoprire se stessi … soprattutto in modo fisico.
In pochi decenni l'evoluzione tecnica e lo spostamento di grandi masse, hanno comportato una rapida evoluzione sociale e culturale (che a volte, in alcune situazioni valuto più come involuzione).
Sempre più spesso i nostri bambini esplorano il mondo in modo statico, da una comoda poltrona posizionata di fronte ad uno schermo che, senza soluzione di continuità, vomita loro addosso una cacofonia di suoni, immagini e colori, difficilmente vivibili ed interiorizzabili.
Dov'è finita la naturale scoperta del proprio corpo prestazionale, quel corpo che permetteva di esplorare, vivere e modificare il mondo circostante al ragazzo? Dove è finito il gioco inventato e costruito?
Che fine ha fatto la trasformazione immaginifica della realtà, atto fantastico che permetteva al fanciullo di plasmare la poca materia prima a disposizione per la creazione del nuovo?
Un bastone una molletta un elastico erano il fucile del bambino di ieri, una poltiglia di fango era una torta nelle mani della bambina di ieri. Una lattina vuota tre amici e una strada deserta erano una partita di calcio, un po di stoffa e un po di creta erano una bambola.
Immagini che richiamano tempi antichi? … NO, non sono passati che pochi decenni
La stragrande maggioranza dei genitori ed educatori di oggi possiede un passato ove il gioco era momento di scoperta di se, del sé, del mondo circostante e del rapporto di adattamento che vi era tra se, il sé e il mondo.
Sino a pochi lustri fa l'orario scolastico, in quella che era chiamata in modo meno tecnico ma più espressivo, scuola elementare, terminava alle 12,30. La televisione iniziava le sue trasmissioni con la TV dei ragazzi alle 17,30 o giù di li. Pochi i giocattoli a disposizione. Pochi e non sempre accessibili a tutte le tasche.
Il giocattolo, sempre nuovo e disponibile, si chiamava fantasia (software del game) la parte fisica di quel giocattolo, ovvero la parte che permetteva l'applicazione dei sempre nuovi giochi era il proprio corpo e le sviluppate capacità manipolatorie (hardware del game).
Il bambino sperimentava continuamente i propri limiti scoprendo, spesso sulla propria pelle, quando e di quanto questi limiti erano stati oltrepassati.
Le sbucciature erano all'ordine del giorno. Piccoli trofei da esibire come prova della propria scoperta.
A memoria non ricordo classi stile college inglese da film, con bambini soprammobile e insegnanti che, con tranquillità, trascorrevano quattro ore a trasmettere informazioni. Ricordo bambini calmi e bambini VIVACI, ma soprattutto ricordo adeguati tempi ri-creativi.
Oggi il bambino, fin dalla culla, vive ritmi che oserei dire osceni.
Le pappe ed i riposini scandite da tempistiche appartenenti ad una madre che spesso, anche se in congedo per maternità , ha interiorizzato tempi e ritmi innaturali.
Il bambino cresce apprendendo velocemente che “non c'è tempo da perdere”, rincorre tempi e ritmi di genitori senza più tempo, di insegnanti che devono alle prese con un programma didattico da esaurire come da regolamento, di tecnici sportivi che rincorrono un risultato.
Il leitmotiv che accompagnerà la vita del fanciullo sarà “presto che è tardi”.
Si inizia il mattino di buon ora nella veloce preparazione per la consegna del fardello alla scuola prima del lavoro.
Un veloce distacco, spesso insufficiente a mantenere sotto controllo gli stati d'ansia e, rapidamente, ci si adegua ai ritmi scolastici, dove i tempi ludici, di apprendimento, di interiorizzazione, di socializzazione sono scanditi da adulti.
Questa forma di “addestramento” parte sempre più spesso nei primi mesi di vita con l'inserimento del bambino al nido, un addestramento che proseguirà in alcuni casi per tutta la vita (pensiamo alle strutture per anziani).
La più grande rapina fatta al bambino riguarda il furto del tempo ludico libero, quello che era per tutti il gioco di strada, nei giardini pubblici, negli oratori, nei campi, ecc. oggi spesso sostituito con l'inserimento del fanciullo in ulteriori ambienti strutturati quali le associazioni sportive, le scuole di ballo, musica o quant'altro, ulteriori ambienti gestiti da adulti per scopi appartenenti agli adulti.
Quando, per qualunque motivo non si offre al ragazzo questo tipo di esperienza non rimane come riempitivo che rivolgersi a sua maestà la televisione o al gentil consorte il videogame, strutture queste sempre generate da adulti per scopi adulti architettate in modo da permettere il veloce adattamento ed assuefazione del fanciullo.
Torniamo ora alla frase iniziale utilizzata come spunto di riflessione, “I bambini in America devono stare 8 ore seduti in classe, li drogano se si muovono troppo o se fanno rumore ed il loro divertimento principale è la televisione” e facciamoci ulteriori domande riflessive:
a) solo in America i bambini vivono questa situazione?
b) Dov'è finito il bambino vivace, curioso e creativo, con apprendimento prevalentemente cinestesico?
c) Che tempo e che spazzi dedichiamo ai nostri bambini onde permettere a loro di sperimentare il naturale vissuto psichico, emotivo e FISICO?
d) qual'è il limite che divide la naturale vivacità dallo stato patologico?
Poche e semplici domande a cui possiamo dare semplici e rapide risposte:
a) anche l'Europa si è Americanizzata. Anche nel vecchio continente con frequenza sempre più preoccupante si assiste all'offerta di sostanze psicotrope a bambini e ragazzi per “entrare in aiuto al raggiungimento della propria capacità di autogestione”
b) Il bambino VIVACE non esiste più, esiste quello BUONO, BRAVO e UBIDIENTE, ovvero il soggetto gestibile e non generante problemi e l'ADHD, ovvero il bambino patologico, il bambino con sindrome.
c) Sempre meno è lo spazio tempo lasciato alla naturale ludicità del bambino. Primo per mancanza effettiva di spazzi fisici ove poter sperimentare in libertà e relativa sicurezza, secondo per carenza di tempi disponibili da parte di famiglie semi robotizzate.
d) Il limite tra il VIVACE e il Patologico si trova nelle capacità gestionali delle figure di riferimento (genitori, Insegnanti, ecc.)

A seguito riporto un estratto di alcune conclusioni tratte da una discussione sull'utilizzo di sostanze psicotrope sui bambini con disturbi del comportamento, conclusioni che mi sento di definire preoccupanti per motivi che a seguito accennerò
“I farmaci psicotropi possono rappresentare un aiuto efficace nel trattamento dei disturbi psichici dell'infanzia e dell'adolescenza, purtroppo però i dati relativi alla popolazione pediatrica sono ancora scarsi.
Un valido aiuto nel fornire informazioni più sistematiche sull'utilizzo di farmaci psicotropi nei bambini potrebbe essere rappresentato da due tipi di studi.
In primo luogo studi epidemiologici per documentare, nei giovani pazienti, i diversi tipi di trattamento, la diagnosi, la severità della patologia, la durata della cura e la valutazione degli outcomes clinici (ad esempio il controllo dei sintomi e la presenza di eventi avversi).
In secondo luogo trials clinici randomizzati e controllati per valutare i dosaggi, l'efficacia e la sicurezza di quei prodotti il cui utilizzo risulta essere off-label ma che sono diffusamente impiegati nella corrente pratica clinica.
Per quei disordini che si manifestano molto raramente o per quelle combinazioni discutibili di trattamenti farmacologici per le quali non si conoscono i rischi, un registro potrebbe rappresentare un approccio molto utile.
In generale i medicinali di questa categoria terapeutica, proprio per i loro effetti sul sistema nervoso centrale, devono essere strettamente monitorati, in particolar modo quando i piccoli pazienti iniziano o riprendono un trattamento o quando vengono variati i dosaggi.”

Ora, convengo che “in caso di comprovata necessità” i farmaci psicotropi (come TUTTI i farmaci ) possono rappresentare un aiuto efficace ma … CHI e con quale leggerezza me ne consiglia la somministrazione affermandone l'assoluta necessità per aiutare il mio BAMBINO a meglio gestire la propria “eccessiva” vivacità?
Inquietante è altresì la frase
“In secondo luogo trials clinici randomizzati e controllati per valutare i dosaggi, l'efficacia e la sicurezza di quei prodotti il cui utilizzo risulta essere off-label ma che sono diffusamente impiegati nella corrente pratica clinica. Per quei disordini che si manifestano molto raramente o per quelle combinazioni discutibili di trattamenti farmacologici per le quali non si conoscono i rischi, un registro potrebbe rappresentare un approccio molto utile”
Per avere una quantità di dati esaustiva a quanti e per quanto tempo dovremmo fornire tali farmaci?
Ovviamente dovremmo avere una cospicua popolazione di bambini divisa in tre macro gruppi: Il gruppo di controllo, ovvero quello a cui non vengono somministrati farmaci, il gruppo a cui viene somministrato l'effetto placebo, ed il gruppo a cui viene somministrato il farmaco vero e proprio, il tutto ovviamente suddiviso in fasce onde valutarne l'efficacia e gli “effetti collaterali” alle diverse posologie.
E se poi, come oggi sta succedendo negli Stati Uniti, le statistiche ci mostrano come anni di somministrazione di particolari farmaci mettano in evidenza come un'alta percentuale di soggetti accusano nel tempo problematiche più o meno gravi, spesso peggiori “dell'evento patologico” trattato (alta percentuale di suicidi, di uso e abuso di stupefacenti, di soggetti borderline)? Cosa facciamo li formattiamo e tentiamo una nuova cura?
Comunque convengo che è meno faticoso fornire uno psicofarmaco rispetto al progettare e condurre un intervento educativo in grado di coinvolgere bambino, famiglia e sistema educativo.
Molto più facile la somministrazione del psicofarmaco.

2) - Il Bambino
Il bambino di oggi “è” il bambino di ieri, ovvero un soggetto in evoluzione con i “suoi” tempi di maturazione, con la “sua” necessità di libertà esplorativa, con i “suoi necessari” spazzi temporali di espressione ludica, ecc., ecc.
Ora, sembra che sia statisticamente provato che, i cosiddetti soggetti ADHD, tra i ragazzi che vivono nella giungla amazzonica, o tra gli inuit, o nelle bidonville brasiliane, tra le tribù africane o semplicemente in tutte quelle località ove esiste una adeguata proporzionalità tra tempo di inattività fisica (ex studio) e tempo di gioco ludico.
Forse che in quei luoghi non esistono soggetti a basso controllo? Non credo.
Credo però che, ove il controllo di tipo strutturato e coercitivo è meno serrato, ove esiste maggiore libertà di espressione anche fisica, il problema risulti meno evidente, più sopportabile, meglio gestibile.
Il bambino, come tutti i cuccioli, necessità di esprimere un proprio modo di evolversi, facendo le proprie esperienze, lavorando per prove ed errori. Necessita di cadere per comprendere come rialzarsi.
Come sono cambiati i sistemi sociali in pochissime generazioni?
Teniamo conto che i nostri bambini vengono cresciuti da adulti che hanno sperimentato maggiori gradi di libertà rispetto a quelli apprezzabili dai nostri fanciulli, si sono lentamente adeguati a ritmi di vita diversi, molto più frenetici, con minori spazzi temporali dedicati o dedicabili alla persona, tempi che hanno ridotto anche i livelli di sopportazione delle persone.
I nostri bambini vivono sistemi rigidamente strutturati circondati da muri d’ansia che li costringono prigionieri in angusti spazzi altrettanto rigidamente regolamentati.
Se dovessi fare una trasposizione personale troverei veramente difficile confrontare il mio sistema di vita in età infantile con quello dei bambini di oggi.
Nei primi anni 60 la televisione si presenta con due soli canali. La RAI inizia le trasmissioni a partire dal tardo pomeriggio, un paio d’ore scarse di “TV dei ragazzi” seguono programmi per un pubblico adulto. A letto dopo “Carosello” (20,45 circa) e nel caso che si guardasse un film raramente terminava oltre le 22.30, considerato orario estremamente notturno.
Pochi giochi già pronti all’uso erano a nostra disposizione, un po' per motivi economici, un po' per oggettiva carenza di varietà.
Il giocattolo più importante di un bambino, fino ad un quarto di secolo fa, era la fantasia. Con la fantasia si creava, si costruiva, si bruciavano energie fisiche e mentali. Con la fantasia si costruiva il proprio domani sperimentando continuamente le proprie capacità.
I ritmi erano cadenzati, lenti ... costanti. La scuola fino a poco dopo l’orario di pranzo (mezzogiorno), nessun tempo prolungato, i compiti (difficile anche in quei tempi tenere un bambino seduto in cucina con la testa su sussidiari e quaderni, il lavoro è pesante in tutti i tempi e a tutte le età), si prosegue col gioco sino ad ora di cena, una cena consumata spesso con tutta la famiglia attorno al tavolo, ad orari ad oggi spesso impensabili (generalmente verso le 19 circa un po' per tutti). La routine settimanale comprendeva il pomeriggio dedicato al catechismo, qualche fortunato (fortunato?), era inserito in qualche ambiente sportivo, quasi sempre calcistico. Per le femminucce poche offerte. In quei tempi maggiori gradi di libertà erano lasciati ai bambini che giocavano liberamente nelle strade, nei campetti dell’oratorio, nei giardini pubblici o nelle piazze, luoghi nei quali si recava da solo e dai quali rientrava, sempre da solo, prima che facesse buio (non c’era il cellulare). Una generalizzata bassa esposizione ai sistemi comunicativi (TV) faceva si che le persone fossero generalmente meno in ansia. Nessuna, o per lo meno alquanto limitata paura dell’orco, del pedofilo, dell’incidente stradale, ecc. Con questo non voglio dire che non esistessero questi pericoli, solamente erano molto meno sentiti e assillanti.
Un bambino che viveva il suo ruolo di bambino. Un bambino che alla soglia dell’adolescenza giocava ancora agli indiani o con le bambole. Un bambino con tutto il tempo per metabolizzare le proprie scoperte.
Visione romantica …. forse … ma, pensate un attimo alla vostra giovinezza (se avete almeno più di trent’anni) e valutate la differenza di ritmi e stimoli da quelli a voi forniti dal sistema sociale da voi vissuto e quelli forniti ai vostri bambini oggi.
Facciamo una panoramica sulla giornata tipo di un nostro bambino. La sveglia alla mattina deve tener conto dei tempi per vestizione di tutta la famiglia, colazione, trasporto a scuola … il tutto entro la timbratura del cartellino di lavoro dei genitori, quindi per il bambino vi è la necessità di adeguarsi velocemente a tempi e regole genitoriali, ritmi che non tengono minimamente conto dei necessari tempi richiesti al bambino per un non traumatico distacco. Segue l’ambiente scolastico che, ai nostri giorni, occupa spesso la maggior parte delle giornate della settimana, sabato compreso. l’ambiente scolastico con le sue materie richiede un veloce adattamento del bambino alle relative figure di riferimento, spesso non meno di due otre.
A scuola non si portano i propri giocattoli, non si corre, non si gioca alla lotta, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si parla con i compagni durante le lezioni (ma quante ore di lezione fanno?), non si …, non si …,
Terminato l’orario scolastico velocemente a casa perché ci sono i compiti da fare e … fino a quando non sono terminati, non si gioca, non si..., non si …
Terminati i compiti è finalmente possibile giocare ma fuori da soli no, l’universo è pieno di pericoli, quindi in casa con giochi già pronti all’uso, davanti alla televisione o ad un videogioco, ovvero giochi con regole non modificabili, dove il bambino evidenzia la sua bravura quando è rapido ad adattarsi alle regole imposte dal gioco. Ovviamente, visto che siamo in casa non si gioca alla lotta, non si corre, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si .., non si ..
Ma l’eccessiva sedentarietà nuoce alla salute, lo sanno tutti. Il pediatra insiste per far si che il bambino faccia attività motoria perché è in sovrappeso, per motivi di scogliosi, perché si evidenzia quanto mai scoordinato (forse troppi videogame?), gli insegnanti insistono affinché il bambino faccia attività sportiva “così si scarica”, ed allora ... lo iscriviamo in palestra dove si divertirà tantissimo …. si divertirà a seguire le regole e le sollecitazioni dell’allenatore, della maestra di ballo, dei genitori che lo vedono già in nazionale o ballerina alla scala, ops scusate volevo dire velina, sognare di essere ballerina alla scala oggi è demodè.
A proposito durante l’allenamento non si portano i propri giocattoli, non si corre, non si gioca alla lotta, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si parla con i compagni durante le lezioni (ma quante ore di lezione fanno?), non si …, non si ….
Oltre alle materie scolastiche è utile per il nostro fanciullo frequentare corsi che lo “stimoli” dal punto di vista cognitivo, dal punto di vista artistico, ecc., quindi vogliamo fargli mancare un corso di computer (alle elementari), un corso di musica, un corso aggiuntivo di lingue, un’esperienza teatrale, il corso di nuoto è cosa quasi d’obbligo, a dimenticavo nella nostra cultura cattolica il corso di catechismo è d’obbligo.
Ricordiamoci sempre che durante i corsi non si portano i propri giocattoli, non si corre, non si gioca alla lotta, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si parla con i compagni durante le lezioni (ma quante ore di lezione fanno?), non si …, non si …,
Velocemente a casa perché è ora di cena (ore 20,30-21) e se si vive in appartamento, non si corre, non si gioca alla lotta, non si urla, non si schiamazza, non ci si sporca, non si …, non si …,
Ci sono sempre più bambini a cui viene diagnosticato un Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), o disagi vari dell'autocontrollo, ma nessuno sembra rendersi conto che possono cambiare i tempi, possono cambiare i ritmi, possono cambiare le esigenze, ma non cambiano i bambini e le loro esigenze.
I bambini rimangono quei soggetti estremamente fragili che necessitano si di stimoli ricchi e vari, ma al contempo, anche e soprattutto di tempi e spazzi a loro adeguati in modo che possano metabolizzare e far proprie le esperienze fatte.
Come mai, noi adulti, ci adeguiamo istintivamente alle esigenze di soggetti diversamente abili, spesso in modo eccessivo, al punto da non permettere a loro di sviluppare un maggior quantitativo di competenze, e non ci adeguiamo ad un soggetto potenzialmente abile ... in futuro … e pretendiamo tutti che esso si adegui a noi.
Facendo una valutazione che tenga conto delle vere esigenze del fanciullo, chi sa dire quali e quanti siano i bambini realmente affetti da un patologico disturbo di attenzione e chi invece, col proprio comportamento, denuncia una mancanza di attenzione nei confronti di sacrosante esigenze.
(continua)

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